ANGELA BARCHIELLI
[/pt_text]Scrivere sulla dislessia appare oggi un atto quanto mai dovuto, nella speranza che una maggiore informazione sulla questione (di cosa si tratta, quali sono le cause e le conseguenze, cosa fare con e per il dislessico) possa sollecitare l’interesse e le ricerche su questo disturbo, per il quale una soluzione definitiva e certa non è ancora stata trovata.
Si parla di dislessia specifica, se tale difficoltà è presente nei bambino normalmente intelligente, ancora all’età di 9-10 anni, un’età in cui non è più possibile considerarla « fisiologica ». In pratica il piccolo dislessico è quel bambino che legge «nepa», anziché « pane», « bare » anziché « dare », e che con molte altre imperfezioni e confusioni dei genere (per esempio confonde continuamente lettere e sillabe che abbiano suono o grafia simile, etc.) manifesta la sua particolare difficoltà nel,e lettura ancora in quarta o quinta elementare. È implicito che di conseguenza il bambino avrà grosse difficoltà anche in tutti gli altri argomenti di studio, perché sono poche quelle materie scolastiche per la comprensione del quale non sia necessario saper leggere bene.
È certo che il bambino non diventa dislessica a 6 anni quando entra a scuola ed è per questo che il riconoscimento tempestivo non solo è opportuno, ma possibilissimo già all’età della scuoio materna (difficoltà di ritmo, per esempio, possono essere individuate e riconosciute come possibili future difficoltà di lettura).
Le cause dirette della dislessia possono essere molteplici: a parte il deficit intellettivo (che però rientra nel quadro di una patologia particolare), si va dalle difficoltà o insufficienze visive, uditive e di lateralizzazione, agii errori educativi, al problema del bilinguismo o della crescita in ambiente povero di stimoli intellettivi ed in cui si parli solo stretto dialetto.
Nell’esaminare più da vicino i fattori causali suddetti, vediamo che il deficit visivo conduce per esempio alla confusione delle lettere speculari (b e d, q e p) e quindi anche dei relativi suoni.
Deficit uditivi portano ad errori di successione (ovvero errori nelle relazioni di tempo e spazio), di rapporto (il bambino inverte l’ordine di sillabe o lettere all’interno della, paro, la), di individuazione (concernono l’abitudine a combinare insieme due parole, ignorando una vocale, e dando loro un significato diverso: « signora » anziché « s’ignora »), di costantizzazione (che si riferiscono all’incapacità di cogliere la parte comune nei verbi coniugati e negli aggettivi declinati).
Nei due casi suddetti avviene che, conseguentemente alle scambio ed inversione di sillabe, il bambino confonde poi anche intere parole all’interno di una frase, non sapendole riconoscere correttamente.
Ai problemi relativi alla lateralizzazione, ovvero al governo di particolari abilità psicomotorie da parte dei preposti emisferi cerebrali, colleghiamo l’incapacità a riconoscere la destra e la sinistra, e perciò il prima ed il dopo (e quindi ciò che viene prima e dopo all’interno di una sillaba, parola e frase). Non solo, ma anche la lettura da sinistra a destra e dall’alto verso il basso perde significato per il bambino.
All’interno di questo campo di difficoltà possiamo anche ritrovare le difficoltà di ritmo rammentate sopra.
Fra le possibili cause della dislessia giocano il loro ruolo anche i problemi di sviluppo del linguaggio, uno sviluppo che sicuramente non è incentivato in situazioni di pauperismo ambientale od in situazioni di interazioni non nutrizionali.
Se tutte queste carenze siano da imputarsi a cause genetiche, neurologiche, od infine siano da rivisitarsi in chiave psicodinamica, che tende ad interpretare le difficoltà di lettura e scrittura come espressione del rifiuto a comunicare, non può dirsi per certo; nessuna di queste possibili radici ha finora dimostrato di essere la sola valida, anzi, si può ragionevolmente ritenere che sia vero il concetto inverso, e cioè che tutti quanti i fattori sopra indicati siano coinvolti allo stesso tempo nella responsabilità di questa mancata abilità nella lettura.
In particolare, è importante far rilevare quanto i fattori psicologici siano implicati nella dislessia, se non tanto come causa diretta, come conseguenza e poi causa indiretta, in una specie di effetto circolare per cui la insicurezza ed il senso di inadeguatezza profondi che prova il dislessico ai primi approcci con le proprie difficoltà (che gli altri non incontrano) contribuiscono, come possiamo ben immaginare, all’aggravarsi ed all’estendersi del difetto iniziale. Infatti è opportuno tener presente quanto e come questa carenza influenzi la vita del bambino: basti pensare alla cattiva atmosfera che può venire a crearsi a casa, dove il dislessico (non opportunamente diagnosticato) è colpevolizzato per la cattiva riuscita scolastica; alla spiacevole situazione che il piccolo vive a scuola, dove oltre ad eventuali rimproveri degli insegnanti, egli si trova a dover fronteggiare anche la derisione dei compagni, e così via. È ovvio che ben presto il bambino stesso arriverà a considerarsi incapace, laddove tutti gli altri riescono; vediamo perciò come sia legittimo considerare che le conseguenze di questo deficit possono essere devastanti.
Non saper leggere e non saper scrivere, significa, se consideriamo questi concetti in un quadro più ampio, non poter comunicare, e perciò non saper neanche soddisfare le proprie necessità di espressione; e quindi non potere interpretare il mondo che ci circonda. È perciò evidente che il primo passo nell’aiutare il dislessico consiste nel correggere il suo confuso rapporto con l’intero universo, e contemporaneamente rinforzare la fiducia in se stesso; è necessario cioè un approccio globale in cui sia compreso anche un intervento con specifici esercizi mirati al superamento delle difficoltà che quotidianamente incontra nel cimentarsi nella lettura.
Da Rivista L’insegnante specializzato, 2/94
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