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ROSALBA RAFFAGNINO

ISABELLA MARTINOZZI

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In questi ultimi anni le richieste indirizzato all’insegnante, affinché eserciti il suo compito con sempre maggiore professionalità o com­petenza, non si limitano più alla sola ed unica conoscenza dei contenuti dell’insegnamento. Educatori e psicologi evidenziano il ruolo svol­to nel processo educativo dal possesso di abi­lità e competenze che vanno oltre i contenuti informativi. Un certo numero di studi aiutano a formulare interessanti ipotesi sulle abilità ad interagire e comunicare che un insegnante sarebbe opportuno possedere per assolve­re efficacemente alla sua funzione.

Fino ad alcuni decenni scorsi la maggior parte di studiosi aveva localizzato l’interesse sulla Comunicazione Verbale (CV), apportando anche significativi contributi all’osservazione in am­bito scolastico; minori erano le conoscenze su un’altro aspetto della comunicazione che oggi sta interessando un numero sempre più nu­trito di studiosi: la Comunicazione Non Ver­bale (CNV). Quest’ultima, fin dagli anni ‘60 ed in modo sempre più esteso, è stata oggetto di studi e ricerche che ne hanno evidenziato il ruolo cruciale nella comprensione dell’interazione umana; inoltre, in anni più recenti, è di­ventata oggetto di interessanti applicazioni in ambiti diversi quali quello clinico, educativo, del lavoro ecc.

Attualmente l’interazione verbale e non ver­bale sembrano sempre più assumere eguali­taria importanza nella comunicazione; un esempio nel campo educativo sono forniti dai recenti studi di Weber J.- Coleman M. (1989) sulla terapia razionale-emotiva di Ellis utile a prevenire i problemi della diade alunno-insegnante, come testimoniano studi sull’applica­zione con un approccio educativo di teorie e tecniche teso a valutare esperienze, applica­bile allo sviluppo affettivo di soggetti con di­sturbi dell’apprendimento (Di Pietro, 1992), tecniche di transfert per l’apprendimento del linguaggio di S. Striefel – C.R. Owens (1988), il programma Shop Talk che ha come fine quello di aiutare gli studenti ad acquisire le abilità di comunicazione, ricettiva ed espres­siva L. Kent Udolf – E.R. Sherman (1985), o con la procedura dell’insegnamento gentile nel controllo delle stereotipie (J. Jordan – N.N. Singh -A.C. Repp, 1990).

La riflessione pedagogica, considerando an­che i contributi significativi delle discipline che si sono occupate della comunicazione, con­tinua a valutare l’importanza di uno studio at­tento e sistematico della problematica.

Il presente lavoro intende fornire un contributo al mondo della scuola verso un aspetto del processo educativo-didattico, rappresentan­do appunto dall’analisi della comunicazione non verbale, spesso trascurata o comunque considerata di secondaria importanza rispet­to alla comunicazione verbale.

L’analisi dell’interazione non verbale in classe

L’analisi interazionale riguarda qualsiasi me­todo di sistematica classificazione dei Com­portamenti Verbali (CV) e dei Comportamenti Non Verbali (CNV) (Poole e McPhee, 1985). Il suo fine – affermano Sackett, Ruppenthal e Gluck (1978)- consiste nell’identificare se­quenze, modelli e cicli ripetitivi di comportamenti in diadi o gruppi pio ampi di soggetti. In ambito educativo l’analisi interazionale ha avuto notevoli applicazioni. “Vi è la speranza -sottolinea Soresi (1978)- di riuscire ad identificare i modelli di comportamento che più di altri stimolano l’apprendimento degli al­lievi e a riformulare alla luce di queste indica­zioni, i programmi di formazione del corpo docente che dovrebbe essere maggiormente educato ed “allenato” proprio all’assunzione di quei comportamenti che sembrano attivare meglio, negli allievi, gli obiettivi educativi auspicati” (Soresi, 1978, pag. 12). Tra i tentativi tesi a dare una risposta alla speranza ricorda­ta da Soresi, si trovano anche studi e ricerche sulla funzione svolta dai CNV. In particolare è stata studiata la comunicazione non verbale nei diversi comportamenti di insegnamento, come la lezione, l’interazione in classe; inol­tre, ne è stata valutata l’importanza nella co­municazione di atteggiamenti ed aspettative.

Lo spazio e la sua organizzazione

Qualsiasi interazione avviene in uno spazio; soffermiamoci quindi a valutare il setting in cui si svolge l’interazione tra insegnante e allievo. L’ambiente può rendere certi comportamenti più probabili e addirittura, scrive Argyle (1975) “si può modificare l’interazione sociale che si realizza in una stanza spostandone i mobi­li” (Argyle 1975, pag. 232). Il comportamen­to spaziale è stato approfondito dagli studiosi della comunicazione non verbale, che non hanno però rivolto un’attenzione adeguata al­l’ambito educativo. Gli studi sull’organizzazio­ne fisica della classe, sul coinvolgimento e la partecipazione dei presenti, l’opportunità interattive e la possibilità di osservazione con il controllo dei comportamento sono stati analizzati in una rassegna, condotta da Weinstein (1979), dove si evidenzia che l’organizzazione fisica della classe ha effetti sia sugli atteggia­menti che sul comportamento degli studen­ti[*]. Ad esempio, fa numerosità dei soggetti sembra determinare un aumento dell’insoddisfazione e dell’aggressività, mentre l’atten­zione ed il coinvolgimento diminuiscono. Nella tradizionale planimetria dell’aula compare una posizione frontale, faccia a faccia, insegnante-allievi. Benché questa struttura permetta un più agevole contatto e un più efficace control­lo, in quanto tutti i partecipanti sono visibili e le interazioni, generalmente di breve durata, sono pubbliche, impedisce una collaborazio­ne significativa tra gli studenti (Good e Brophi, 1990). L’insegnante che accetta tale posizio­ne tende a gestire in modo verticistico la clas­se e determina il rapporto di sottomissione nei suoi confronti. Se il docente desidera una più ampia interazione per ottenere un clima di di­sponibilità e di apertura, è opportuno dispor­re in maniera diversa l’arredamento dell’aula. Good e Brophi (1990) ricordano i banchi collocati in cerchio, i banchi a piccoli gruppi, sen­za però che nessuna di queste possa essere considerata migliore dell’altra. I loro vantag­gi sono strettamente collegati agli obiettivi di­dattici che un’insegnante si pone.

CNV e trasmissione delle informazioni

La comunicazione educativa è un sistema estremamente complesso che trova il suo fon­damento in una condizione di differenza cultu­rale tra emittente e ricevente. Il rapporto edu­cativo è soprattutto basato sugli aspetti lingui­stici; è necessario però ricordare che essi non sono gli unici rappresentanti dell’universo co­municativo. “Il silenzio come risposta non ver­bale esprime comprensione e rispetto” (RM. Gargiulo 1991, pag. 104). Esistono una serie di segnali non verbali che incidono sulla tra­smissione delle informazioni rendendo più comprensibile il messaggio verbale, illustrandolo e concretizzandone i contenuti. Ekman e Friesen (1969) hanno identificato dei gesti il cui significato è quello di illustrare (illustratori); Greimas (1968) ha parlato di gesti descrittivi, così definiti perché spesso utilizzati per imitare la forma, l’azione di un oggetto reale (Greimas 1968, citato in De Landesheere e Delchambre 1979), Goleman (1989) con le sue espres­sioni facciali i molteplici significati psicologici. È noto che nella fase precedente lo sviluppo dei pensiero astratto, e con coloro che, pur avendo superato il periodo delle operazioni concrete, si muovono male nell’ambito dell’a­strazione, l‘utilizzazione della gestualità mimetica “permetterebbe un più efficace appren-dimento nell’allievo” (De Landesheere e Del-chambre 1979, pag. 56).

Di particolare interesse sono anche i segnali paralinguistici, tono della voce, accento, qua­lità della voce, pause. Nel trasmettere un’in­formazione l’insegnante che varia il tono della voce è compresa in modo migliore rispetto a coloro che utilizzano una tonalità monotona (Coaes e Smithers 1966, in De Landesheere e Delchambre 1979).

L’utilizzazione dei gesti e di altre espressioni non verbali possono aiutare l’insegnante a tra­smettere all’allievo l’importanza dell’argomen­to e richiamare la sua attenzione. Good e Brophi (1990) osservano che una presenta­zione che procede lentamente, passo dopo passo durante la quale l’insegnante enfatizza e sottolinea le parole chiave, modula la voce in modo inusuale o esagerai gesti per focalizzare l’attenzione sui termini chiave o i passaggi procedurali, esamina passo passo gli allievi, per cogliere i segni di comprensio­ne o confusione, risulta rilevante per la com­prensione del contenuto trasmesso (Good e Brophi 1990). È stato anche osservato che la presentazione di un argomento con entusia­smo, che sottende importanza ed interesse, suscita negli studenti un atteggiamento simi­le (Bottencourt et al. 1983) [†]

CNV e modalità interattive

La ricerca, fin dagli studi classici di Lewin, ha valutato gli effetti che stili diversi di interazione dell’insegnante potevano avere sul com­portamento della classe e sul processo di apprendimento. Sione e Neisel (1982), affer­mano che “gli stili di insegnamento si posso­no raggruppare in due categorie principali: centralo sul gruppo e centrato sull’insegna­mento” (Stone e Neisel 1982, pag. 24). Tra i due stili quello centrato sul gruppo -puntualizzano i due studiosi- pone maggiore enfasi sulle responsabilità dello studente ed il ruolo dell’insegnante diventa quello di aggregatore del gruppo. Trai vari approcci edu­cativi che sottolineano tale ruolo si possono ricordare quelli che si pongono in una dimen­sione di non direttività. Cari Rogers, eminen­te teorico della non direttività in ambito te­rapeutico, nel tentativo di applicarne i princi­pi in ambito scolastico ha sottolineato l’opportunità che l’insegnante si rapporti all’allievo secondo uno stile empatico, in modo da permettere t’apertura di un dialogo educativo. L’empatia presuppone un atteggiamento di accettazione, di comprensione, di fiducia nell’altro che si esprime più facilmente ed effi­cacemente attraverso la comunicazione non verbale, non escludendo la comunicazione verbale. I gesti, la postura, lo sguardo, il tono della voce sono utilizzati dall’individuo in ma­niera spesso inconsapevole, per trasmettere messaggi di calore, empatia, supporto, affi­liazione. Meharabian (1972) definisce con il termine immediacy (immediatezza empatica) uno stile dove vicinanza, inclinazione in avanti del corpo, contatto corporeo, posizione aper­ta della mani e delle gambe, sono i compor­tamenti più frequenti.

Harris e Rosenthal (1985) osservano che l’in­segnante che nutre aspettative positive ver­so gli allievi tende più spesso a creare un clima sociale cordiale, ad incoraggiare i ra­gazzi, a sorridere, a mantenere una vicinan­za fisica. Da un’altra parte coloro che hanno basse aspettative utilizzano modelli relazionali opposti. Good e Brophy (1987) hanno osser­vato che, in questi casi, il docente, oltre ad utilizzare i CV, come la critica, tende a pre­stare minore attenzione agli allievi e o ad interagire meno frequentemente, utilizzando scarsi sorrisi e contatti visivi.

Nell’analisi delle varie modalità interattive non si deve dimenticare il ruolo svolto dall’allievo nel determinare cambiamenti negli atteggiamenti e negli stessi comportamenti dell’inse­gnante (Meazzini 1978). Alcuni tratti della per­sonalità del fanciullo possono avere, parafra­sando De Landersheere e Delchambre, riper-cussioni sul suo destino scolastico. Bambini che hanno difficoltà a manifestare i loro sentimenti ed atteggiamenti attraverso lo sguar­do, l’espressione facciale i gesti possono cau­sare un effetto alone sfavorevole nell’inse­gnante. Analogamente un alunno che non percepisce i sentimenti positivi che eventual­mente gli manifesta il suo insegnante si priva in tal modo di rinforzi dei quali ben si cono­sce la fondamentale importanza (De Landesheere e Delchambre 1979, pag. 24).

Conclusioni

Anche se la conoscenza della Comunicazio­ne Non Verbale in ambito educativo non può considerarsi al momento attuale pienamente soddisfacente, tuttavia, le indicazioni prove­nienti dagli studi e dalle ricerche ricordali co­me da altri che, per ragioni di spazio, abbia­mo tralasciato, sono almeno sufficienti a sti­molare considerazioni più attente sulla forma­zione del corpo docente.

L’acquisizione di conoscenze relative alle ca­ratteristiche ed ai significati della Comunica­zione Non Verbale, potrebbe in effetti aiutare l’insegnante a formarsi un quadro di riferimen­to teorico e metodologico entro il quale inse­rire la propria attività pratica. Il processo formativo, tuttavia, non si può fermare a tale se è opportuna l’acquisizione di una più attenta consapevolezza della propria gestualità e della propria abilità a cogliere l’altrui com­portamento, al fine di formare un insegnante professionalmente competente nella interazione. Tenendo conto di ciò la formazione dovrebbe indirizzarsi verso l’acquisizione di modalità e tecniche di osservazione dei CNV, nonché verso una conoscenza attenta delle proprie modalità.

Per quante ottiene il primo punto, è noto che l’interesse degli psicologi scolastici verso la relazione insegnante-allievo, ha permesso un crescente perfezionamento delle tecniche di registrazione delle numerazioni in classe.

Per quanto attiene la considerazione dalla propria gestualità e del modo di interagire ti­pico dell’individuazione fino ad oggi i programmi di formazione hanno dato poca importanza all’acquisizione di tale abilità.

Giunti ai termine della esposizione, un altro aspetto, oltre quello formativo, sul quale è forse utile riflettere, riguarda il modo in cui il do­cente si rapporta ai tema oggetto della nostra riflessione. Ci sembra importante di tutelarsi, nell’ampliamento delle conoscen­ze, nei confronti di atteggiamenti estremi. Pur riconoscendo l’importante funzione è svolta dai CNV nella comprensione e gestione di una interazione, è opportuno evitare di cercare si­gnificati nascosti in ogni comportamento fino a giungere a paralizzare la stessa attività, op­pure attribuire, in modo semplicistico, signifi­cati che i CNV possono non riflettere a causa della variabilità a cui sono soggetti L’attenta e ripetuta osservazione di lo comportamento, la sua relativizzazione in rapporto al con­testo e ad esperienze diverse, può essere un modo corretto, anche se sufficiente, di valutarne il significato.

Da un’altra parte ci sembra rilevante evitare l’atteggiamento di colui che vive ingenuamente, rifiutando di riflettere su comunicazione perché parafrasando Porcheddu “una consi­derazione che ha il carattere dell’evidenza un dato d! fatto, aggiungiamo risi, che agisce al di fuori della intenzionalità e volontà degli stessi attori del processo educativo. Se ciò può essere vero, non può tuttavia giustificare un atteggiamento di non curanza ed indifferenza verso un aspetto del nostro compor­tamento interattivo che sempre più gli studiosi considerano importante.

Da Rivista L’insegnante specializzato, 1/93

ISFAR viale Europa 185/b Firenze, info@isfar-firenze.it, www.isfar-firenze.it

Per un approfondimento cfr. G. Pesci, Psicologia Ambientale, L’Insegnante Specializzato N. 2/1987.

* G, Pesci, La mimica nel colloquio educativo e didatti­co, in L’Insegnante Specializzato N. 1/1988.

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