ANTONELLA ODDONE
[/pt_text]Il pediatra veniva una volta definito come lo specialista in malattie del bambino.
In realtà il tempo dedicato alla cura delle malattie è quasi comparabile al tempo dedicato alla prevenzione, ai controlli di salute, ai colloqui coni genitori.
La peculiarità del pediatra, d’altra parte, è che il rapporto con il paziente, almeno fino alle soglie dell’adolescenza, è mediato dalla famiglia e la famiglia si è andata via via trasformando: nascono sempre meno bambini, spesso c’è un solo preziosissimo bimbo per famiglia; e i nuclei familiari sono sempre più ristretti: dalla rassicurante famiglia patriarcale con nonni, zii, cugini e un secolare buon senso su cui contare, all’insicurezza di due più o meno giovani genitori.
Il pediatra dunque è, o dovrebbe essere, un medico di famiglia. Sappiamo bene come moltissimi problemi di natura psicologica e anche fisica (somatizzazioni) trovino la loro chiave nell’ambito familiare. La salute psicologica ed emotiva del bambino in una società dove c’è una continua rivoluzione di valori e di « verità » è importante quanto quella fisica ma è difficile da verificare perché:
- manca al Pediatra l’educazione al colloquio psicologico, cioè le abilità scientifiche a far parlare, a «tirar fuori ». Tutto è basato sull’istinto e la sensibilità di ciascuno di noi.
- bisogna spesso superare la paura e la reticenza dei genitori stessi a parlare: ci sono è vero genitori superscrupolosi e superattenti (anche troppo a volte) ma ci sono anche quelli che cercano di evitare e sfuggire i problemi (per vergogna? Paura inconsapevole di scoprire verità sgradevoli? Rifiuto della realtà?).A me succede spesso quando indago sulle acquisizioni dello sviluppo psicomotorio, ma ho avuto anche genitori che non hanno sottoposto il loro bambino di pochi mesi con nistagmo al controllo oculistico (il bambino ora ha 4 anni e anche le maestre hanno rilevato difficoltà visive!) e genitori di bambini con IVU alte ricorrenti, che hanno rifiutato le indagini radiologiche.
- bisogna fare i conti anche con l’insicurezza dei genitori stessi, che talvolta portano il bambino da due-tre-quattro medici all’insaputa del primo (che è il curante) con il risultato di confondersi le idee e di non sapere più di chi fidarsi. In casi estremi si arriva alla perdita del rapporto di fiducia (purtroppo, dispiace sempre moltissimo perché è una sconfitta).
Naturalmente anche il pediatra non è una divinità scevra da errori: se il suo lavoro, nonostante le difficoltà sovraesposte, può ancora sembrare semplice (visite di controllo, malattie in gran parte acute e benigne che si autorisolvono) nella pratica, quotidiana ci si scontra con problemi causati dal sovraccarico di lavoro che, se reale in certi periodi dell’anno (epidemie influenzali) è molto spesso un ingolfo causato dalle pretese eccessive di visite domiciliari per problemi ambulatoriali: alcuni genitori si mostrano più carenti di buona educazione che non di educazione sanitaria.
Posta questa premessa è evidente che il rapporto con strutture e persone che si occupano del bambino, oltre la famiglia, è fondamentale: asili nido, scuole, strutture sportive. In particolare la maestra trascorre con il bambino circa la metà della giornata ed ha sia la competenza che l’obiettività per segnalare subito difetti comportamentali, sensoriali o addirittura problemi mi ordine neurologico (piccolo male) sfuggiti ai genitori.
Che cosa chiede il pediatra alla scuola?
Innanzi tutto un rapporto di collaborazione: parlare con la famiglia, ma anche con il pediatra, quando insorgono dei problemi. E i problemi possono essere tanti, e di varia gravità. Faccio alcuni esempi:
- bambino con problemi comportamentali (iperattività, difetto di attenzione, scarsa concentrazione- tenere presente che ci sono farmaci che possono provocare disturbi del comportamento, come i barbiturici o alcuni antiasmatici)
- bambino con ritardo del linguaggio;
- bambino con impaccio motorio;
- bambino con difetto uditivo;
- bambino con difetto visivo (strizzano gli occhi quando fissano, si avvicinano troppo per vedere, si strofinano gli occhi, non seguono le righe nella lettura e scrittura, lamentano cefalee);
- bambino con difetto di apprendimento specifico (dislessia, disgrafia).
In questi casi sarà il pediatra a distinguere la specifica necessità di un approfondimento diagnostico e della visita dello specialista del secondo livello (che potrà essere il neuropsichiatra infantile, l’oculista, l’otorino il logopedista e così via). Se l’insegnante ha un dubbio, un sospetto, è essenziale che informi la famiglia e la indirizzi primariamente dal pediatra che segue il bambino. Questo per evitare inutili allarmismi e visite spesso superflue da specialisti vari, saltando proprio la persona che meglio conosce dalla nascita il piccolo e l’ambiente familiare in cui vive. Senza contare che esprime dei dubbi nei riguardi delle capacità intellettive o del comportamento di un bambino e parlare brutalmente per esempio di visite neuropsichiatriche può mettere fortemente in crisi un genitore e creare rapporti di antipatia e sfiducia nei riguardi dell’insegnante. Se invece la richiesta parte da un medico sarà senz’altro accettata con più serenità. Ovviamente sarebbe auspicabile che l’insegnante conoscesse almeno di nome il pediatra di ciascun bambino ed esprimesse a lui direttamente i propri dubbi. Questo dialogo permetterebbe una migliore comprensione delle difficoltà del bambino (come si è detto i genitori a volte non capiscono o si rifiutano inconsciamente di capirei problemi). D’altra parte il pediatra può fornire informazioni preziose per l’insegnante: ci sono alcuni farmaci e alcune patologie croniche che possono influire sullo sviluppo psichico o quanto meno sul comportamento del bambino, ad esempio i barbiturici possono provocare difetto di attenzione e sonnolenza come pure iperattività, molti dei farmaci antia-smatici (il cortisone, i beta 2 stimolanti sono spesso causa di eccitazione e aggressività). Lo stato allergico di per sé può influire sul rendimento scolastico (esiste una sindrome detta tensione fatica, caratterizzata da cefalee, facile stancabilità intellettiva, irritabilità). Per non parlare dei problemi connessi con l’epilessia. In generale comunque, tutte le malattie croniche (diabete, artrite reumatoide ecc.) comportano uno stato di « diversità » e un carico di ansia che possono influire negativamente sulla personalità del bambino, e di cui è importante tenere conto.
In che cosa consiste l’aspetto preventivo dell’attività del pediatra?
Il bambino viene dimesso dall’ospedale con un libretto di salute in cui il pediatra
neonatologo ha già segnato note ana-mnestiche riguardanti eventuali malattie familiari, il decorso della gravidanza, le modalità del parto, eventuali problemi insorti nei primi giorni di vita, i risultati degli screening eseguiti (in Toscana si praticano abitualmente gli screening per malattia fibrocistica, ipotiroidismo, fenilchetonuria).
Nel libretto di salute verranno via via annotati, oltre alle malattie, anche i dati rilevanti durante le visite periodiche di controllo.
Dunque già al primo incontro con il bambino abbiamo in mano alcuni elementi che ci permettono di valutare situazioni di rischio: dall’anamnesi familiare sapremo se esistono malattie ereditarie che possono presentarsi nel bambino: il diabete, malattie allergiche, alcune malattie del sistema nervoso (malattie neurometaboliche, malattie neurocutanee, alcune malattie de-generative del sistema nervoso), malattie muscolari (distrofie), alcune malattie oculari, ipoacusie e sordità ecc. Sapremo se la gravidanza è decorsa regolarmente o se vi sono state infezioni virali (rosolia, toxoplasma, herpes virus, CMV, etc.) con conseguenze sullo sviluppo sensoriale e del sistema nervoso, oppure patologie (distacco di placenta, diabete, gestosi) che abbiano provocato un danno anossico del sistema nervoso centrale.
Verremo a conoscenza delle modalità del parto e di una eventuale sofferenza neonatale (che viene ben tradotta in numeri col punteggio Apgor, che in base all’osservazione di 5 segni clinici — tono, colorito, attività respiratoria, attività cardiaca, riflessi — è in grado di fornire un primo giudizio sulla vitalità del neonato), avremo i risultati degli screening eseguiti alla nascita. Tutti i bambini « a rischio » andranno seguiti accuratamente nei primi due anni di vita con particolare riguardo allo sviluppo psicomotorio e andranno sottoposti a visite specialistiche precoci per valutare la funzione visiva e uditiva. La prima visita è inoltre un momento relazionale importante: è un’occasione, la prima, di incontro e di dialogo con i genitori, serve a fare conoscenza reciproca, a chiarire dubbi, a porre le basi di quel rapporto di fiducia tanto discusso quanto essenziale nella professione medica.
I successivi controlli di salute saranno ravvicinati nei primi due anni di vita (1-5-9-12-18-24 mesi) in particolare come si è detto, per i bambini a rischio. In seguito saranno annuali.
I bilanci di salute
« I bilanci di salute sono controlli globali effettuati nei bambini sani o presunti tali, allo scopo di evidenziare in età chiave segni di patologia o problemi tipici dell’età, quando è ancora possibile intervenire pre-cocemente con consigli e cure (prevenzione secondaria). Per ogni patologia esiste infatti un’età ottimale per la sua individuazione, che in genere coincide con l’età migliore per un tempestivo intervento di terapia-prevenzione. A differenza dello screening, che è una ricerca mirata di patologie, il bilancio di salute è un esame generale, che però terrà conto, inevitabilmente, in maniera preminente dei problemi propri o prevalenti dell’età in cui il bilancio è effettuato » (da Tamburlini, Pediatra di base, pag. 85).
Sia ben chiaro comunque che al pediatra di base non sono richieste diagnosi raffinate di rare malattie del sistema nervoso centrale per esempio, o degli organi sensoriali: se ne è capace tanto meglio, ma il suo compito preminente è saper distinguere il normale dal patologico o dubbio e di inviare i casi sospetti allo specialista di secondo livello che farà una diagnosi precisa e imposterà la terapia con la sua collaborazione.
Durante la visita di controllo andranno sempre esaminati lo sviluppo psicomotorio e la crescita staturo-ponderale, lo sviluppo del linguaggio e, a determinate età, la funzione visiva e la capacità uditiva. Andranno ricercati problemi di natura ortopedica (L.C.A., scoliosi), malocclusioni e carie dentarie, segni di cardiopatie (il 90% delle cardiopatie Congenite è diagnosticabile entro i primi sei mesi), andrà valutato lo sviluppo sessuale e la presenza di criptorchidismo, andrà misurata la pressione arteriosa, andranno date precise indicazioni alimentari (quante malattie dell’adulto hanno la loro base in errori alimentari acquisiti fin dai primi anni di vita?); saranno chiariti tutti i dubbi riguardo alte vaccinazioni.
L’allarme può essere rilevato anche da una sollecitazione esterna che si auspica possa essere l’insegnante.
Collaborazione alla prevenzione.
Torno a ribadire che l’allarme per molte situazioni patologiche può essere rilevato non solo dal medico durante la visita periodica ma anche da chi si occupa giornalmente del bambino: le maestre e soprattutto quelle degli asili-nido e della scuola materna devono conoscere bene quella che è la « normalità. » cioè te tappe normali dello sviluppo del bambino e devono essere in grado di segnalare subito al pediatra ogni sospetto di devianza dalla normalità.
Accrescimento staturo-ponderale
Il controllo dello sviluppo armonico-ponderale è un momento essenziale di ogni visita pediatrica: la maggior parte delle malattie (e nel primo anno di vita anche banali come il raffreddore) comporta un arresto o una diminuzione della crescita. E d’altra parte un arresto della crescita ha sempre alla base una patologia da risolvere.
Una crescita armonica si rifletterà positivamente anche nella maturazione psicologica del bambino: è evidente il senso di inferiorità che può derivare da una bassa statura o dall’obesità.
La crescita viene valutata attraverso il sistema dei percentili, che consiste in un grafico con un sistema di coordinate che pone sulle ascisse l’età del bambino e sulle ordinate il valore rispettivamente del peso, della statura e della circonferenza cranica.
La crescita si considera nella norma quando le misure del bambino si trovano tra il 3° ed il 97° percentile e seguono nel tempo sempre lo stesso percentile. Andranno valutati:
1) Il valore assoluto di peso, altezza e circonferenza cranica (nei primi due anni la circonferenza cranica è un indice fedele della crescita encefalica).
2) Il rapporto armonico di questi valori.
3) La regolarità di crescita.
Lo sviluppo psicomotorio
Ad ogni visita pediatrica andrà effettuato un controllo dello sviluppo psicomotorio e neuromotorio, tra di loro strettamente interdipendenti, e delle capacità relazionali del bambino.
Il sistema nervoso del bambino è ancora immaturo alla crescita; solo a tre anni sarà completamente sviluppata la rete sinaptica cerebrale e la mielinizzazione della corteccia e delle vie piramidali. L’esame neurologico dei neonato e del lattante è quindi peculiare. Andranno esaminati:
1) Postura e tono muscolare.
Nel neonato c’è un’ipotonia assiale con ipertonia degli arti, che andrà scomparendo via via che si svilupperà il controllo volontario del tono muscolare.
- a due tre mesi il bambino solleva il capo dalla posizione prona e lo tiene eretto
- a sei mesi sta seduto con appoggio e entro gli otto mesi senza appoggio
- a nove mesi riesce a sollevarsi e inizia la deambulazione a quattro zampe
- a dodici-tredici mesi inizia la deambulazione eretta
- a due anni il bambino corre e sale le scale
- a tre anni scende le scale
2) Riflessi.
Nel neonato sono presenti i riflessi « arcaici » (Moro, suzione, marcia automatica, punti cardinali, raddrizzamento etc.) che scompaiono nel corso del primo anno di vita. Di contro compaiono altri riflessi (Landau, Paracadute). La persistenza dei riflessi arcaici è indice di patologia.
3) Motilità.
I movimenti del neonato sono grossolani, afinalistici e asimmetrici:
- a tre-quattro mesi il bambino allunga le mani verso un oggetto
- intorno a tre mesi è in grado di afferrarlo bene (prensione palmare)
- a sei mesi trasferisce gli oggetti da una mano all’altra
- a nove mesi afferra « a pinza » tra pollice ed indice.
4) Indici relazionali.
Riguardano il comportamento globale del bambino, la sua socialità, la capacità di attenzione e comprensione, i rapporti e le reazioni nei confronti dell’ambiente e dei genitori.
5) Lo sviluppo del linguaggio.
Lo sviluppo di un linguaggio adeguato richiede:
- a) l’integrità delle vie e dei centri nervosi e sensoriali e degli organi fonatori preposti alla sua realizzazione;
- b) la presenza di adeguati stimoli ambientali e affettivi. (È risaputo che l’assenza di stimoli oltre i primi tre anni di vita impedisce la comparsa del linguaggio).
Dunque: nel primo mese il bambino emet-te grida e suoni modulati. Intorno a due-tre vocalizza (a, e, e poi le altre vocali):
- a quattro mesi pronuncia suoni gutturali (gh, ch)
- a sei mesi inizia la lallazione, che consiste nell’emissione dei primi bisillabi ripetitivi (in genere sono consonanti labiali seguite da una vocale)
- intorno ai dodici mesi pronuncia le prime parole significative (mamma, babbo)
- a diciotto mesi compare la « parola-frase » (cioè una singola parola sottende un’intera frase, per es.: «pappa!» vuol dire «mamma, voglio mangiare»)
- a venti mesi-due anni il bambino unisce due-tre parole (frase-contratta)
- dopo di due anni il vocabolario si arricchisce velocemente
- a tre anni il bambino è in grado di usare appropriatamente verbi, pronomi, avverbi e congiunzioni
- a cinque anni lo sviluppo del linguaggio è completo. Ovviamente ciascun bambino ha propri ritmi di sviluppo: c’è chi cammina bene a nove mesi e chi a quindici; chi parla correttamente a un anno e chi pronuncia le prime parole a due anni.
Ci sono a proposito varie scale di valutazione tra cui una tra le più semplici è il test di Denver, che individua un profilo di sviluppo con particolare riguardo all’attività motoria grossolana e adattativa, al linguaggio, al comportamento personale e sociale.
Ciascuna tappa di sviluppo è rappresentata da una barra orizzontale situata sotto la scala dell’età. In ciascuna barra ci sono quattro tacche a indicare rispettivamente a quale età il 25% , il 50% , il 75% e il 90% dei bambini esaminati è in grado di effettuare quel determinato del test. L’incapacità di eseguire un item superato dal 90% dei bambini è indice di un ritardo.
Il ritardo del linguaggio
Un ritardo del linguaggio può essere
1) semplice (spesso familiare, in bambini con normale sviluppo psicomotorie, è dovuto a ritardata maturazione dei meccanismi fonoarticolatori e si risolve spontaneamente)
2) secondario, a cause organiche (sordità, ritardo mentale, paralisi cerebrale infantile) o a cause psicoaffettive (deprivazione affettiva). Di fronte ad un ritardo del linguaggio, soprattutto se non associato ad altre patologie evidenti, è importante verificare sempre a) la capacità uditiva (ad ogni età, come diremo in seguito; b) la comprensione, (invitando il bambino a compiere azioni semplici, per esempio: “dammi la penna”)
3) la capacità esecutiva (valutando l’uso di adicoti e avverbi, la capacità di pronunciare frasi grammaticalmente strutturate o con un vocabolario appropriato per l’età).
La ricerca di eventuali disturbi del linguaggio deve essere fatta al bilancio di salute dei quarto anno. A questa età si potranno verificare:
1) disturbi del ritmo delle parole (balbuzie)
2) disturbi dell’articolazione delle parole (dislalie, disartrie)
3) la qualità, il timbro e l’intensità della voce
4) la comprensione del linguaggio e la capacità esecutiva
L’udito
La sordità e l’ipoacusia possono essere di tipo:
1) neurosensoriale, per danni delle cellule sensitive cocleari o del nervo acustico. A sua volta può essere ereditaria e acquisita (farmaci o più frequentemente infezioni vitali, come parotite, influenza, morbillo). Sono quasi sempre irreversibili.
2) trasmissiva dovuta ad affezioni dell’orecchio medio e compatibili di trattamento medico e chirurgico.
3) mista.
4) centrali, in cui manca la comprendo-ne del messaggio uditivo in assenza di alterazione degli organi uditivi.
Si parla di difetto lieve quando la perdita di udito è di 15-30 db., moderato (30-50 db.), severo (50-80 db.), profondo (80-100 d..b.).
E importante ricercare un difetto uditivo perché è dimostrato che un bambino private di stimoli uditivi fino a tre anni non potrà sviluppare il suo potenziale linguistico, e un bambino che diventa sordo a sei anni perderà tutto il patrimonio linguistico acquisito. D’altra parte anche minimi difetti uditivi come quelli dovuti all’otite media possono provocare difetti di comprensione e di apprendimento.
Alla nascita e al primo anno andranno ricercate essenzialmente e le sordità neuro-sensoriali gravi: lo scopo è di intervenire precocemente b, on l’interventi correttivi (protesi acustiche) prima cioè che il difetto uditivo sia manifesto in modo da ottenere il massimo del potenziale linguistico. A questo scopo andranno prima di tutto sensibilizzati i genitori che a casa, con calma, possono rendersi conto se il loro piccolo di tre o quattro mesi non si sveglia ad un rumore forte, oppure se a sette mesi non si gira verso una sorgente sonora, o se interno all’anno non sia presente (o sia scomparsa) la lallazione. Non aspettare l’assenza dei linguaggio a due anni, in un bambino con sviluppo psicomotorio normale, per mettersi in allarme. Andranno inoltre sempre indagati attentamente i bambini con anamnesi positiva per:
- sordità familiari genetiche
- malattie infettive in gravidanza (rosolia, CMV, etc.)
- sofferenze prenatali
- iperbilirubiremia
- uso di farmaci ototossici
- presenza di malformazioni dell’orecchio esterno, del naso e del palato. Intorno agli otto-dieci mesi è previsto come screening l’esecuzione del Boel test. Si è scelto questa età perché nel neonato e nei primi mesi sono frequenti sia i falsi positivi che i falsi negativi.
Il Boel test si basa sulla capacità di localizzazione sonora del bambino:
- il bambino è seduto sulle ginocchia della madre di fronte all’esaminatore che ne attrae l’attenzione con dei cer-chietti o bastoncini colorati. Quindi mantenendo fissa l’attenzione del bambino sull’oggetto colorato dalla parte opposta all’orecchio che si vuole esaminare, si produce un suono (intensità pari a 40 db. e frequenze acute) con dei campanelli d’argento, suonandoli a circa 30 cm dall’orecchio. La risposta è buona se il bambino si gira verso il suono.
- in caso di risposta dubbia l’esame va ripetuto e se vi sono elementi di positività del test il bambino andrà inviato allo specialista di secondo livello, che programmerà l’esecuzione dei potenziali uditivi evocati.
Nell’età prescolare e scolare è fondamentale ad ogni visita l’esame del timpano e la ricerca dei segni di otite media secretiva. Andranno quindi valutati accurata-mente i bambini con riniti allergiche o con segni di ipertrofia adenoidea (in questi casi la terapia antiallergica o l’adenoidectomia saranno risolutorie), bambini con otiti
correnti, con ritardo del linguaggio, e tutti quelli per culi genitori abbiano dei dubbi. In questi casi l’esecuzione del timpanogramma ci darà notizie sicure sul funzionamento del sistema timpano ossiculare (il timpanogramma è la tecnica di audio-metria obiettiva più comunemente usata).
La vista
Lo screening dei difetti visivi è importante perché:
1) Un difetto della vista può dare segno di sé quando è ormai troppo tardi per la correzione (l’acuità visiva può essere recuperata solo quando la diagnosi è fatta prima dei quattro anni).
2) Le ripercussioni sullo sviluppo dell’apprendimento sono sempre importanti
— alla nascita e nel primo anno di vita andranno ricercate le più importanti malformazioni (cataratte, glaucoma congenito, strabismo congenito). Andranno valutati:
- a) riflesso dell’ammiccamento e riflesso pupillare (miosi) alla luce. La loro presenza indica integrità della retina e del nervo ottico (ma non escludono cecità corticali)
- b) riflesso rosso: usando l’oftalmoscopio o l’otoscopio puntato sulla pupilla alla distanza di 20 cm si illuminerà la retina che dar un riflesso rosso, in caso di patologia si avrà un riflesso bianco (cataratta, retinoblastoma, presenza di masse endobulbari)
- c) riflesso luminoso sulla cornea: puntando una fonte luminosa a 40 cm dagli occhi i riflessi luminosi devono cadere in punti corrispondenti della pupilla (serve ad evidenziare uno strabismo quando non è possibile eseguire il co-ver test)
- d) movimenti oculari: si valuteranno facendo seguire al bambino una fonte luminosa nelle varie direzioni del suo campo visivo.
Nei casi a rischio (malattie infettive in gravidanza, sofferenze prenatali, prematurità, ossigenoterapia) andrà ovviamente effettuato precocemente un controllo oculistico
- nel terzo e nei sesto anno di vita andranno ricercati i difetti di rifrazione, lo strabismo e l’ambliopia che ne può conseguire.
- si parla di strabismo quando esiste una deviazione dell’asse oculare. Lo strabismo può essere evidente (tropia) o latente (foria), convergente o divergente (l’occhio devia in dentro o in fuori), alternante (cioè interessa i due occhi alternativamente) oppure limitato ad un solo occhio, concomitante (l’angolo di deviazione non varia con le varie posizioni dello sguardo), oppure non concomitante (paralitico o spastico). Questa classificazione non è semplice strabismo alternante non ostacola lo sviluppo della visione, mentre gli strabismi latenti, non manifesti, sono importanti da identificare.
È importante l’identificazione degli strabismi anche non manifesti in quanto le deviazioni minime dell’asse visivo hanno le stesse ripercussioni sulla vista di quelle maggiori e possono portare all’ambliopia. Infatti quando lo strabismo interessa un solo occhio (non è alternante), le immagini provenienti dall’occhio deviato giungono sulla retina in punti asimmetrici rispetto alle controlaterali e creano un’immagine doppia.
L’informazione scorretta viene soppressa e piano piano l’occhio deviato perde o non sviluppa l’acuità visiva (fino ad arrivare alla cecità legale, che corrisponde ad un virus minore di 1/10. In questo caso si parla di ambliopia. Lo strabismo si evidenzia con i seguenti test:
1) Riflessi luminosi sulla cornea
2) Cover test: si fa fissare al bambino un oggetto a distanza di 30-40 cm e successivamente di 6 cm. Quindi si copre con un cartoncino ciascun occhio a turno; se c’è deviazione dello sguardo nell’occhio scoperto in test è positivo. Serve ad evidenziare uno strabismo manifesto.
3) Cover uncover test: si fa fissare un oggetto come sopra. Quindi si copre per pochi secondi ciascun occhio rimovendo rapidamente lo schermi e coprendo l’occhio controlaterale; il test è positivo quando c’è deviazione dell’occhio che viene scoperto. Serve ad evi-denziare uno strabismo latente.
4) Test della visione stereoscopica e stereotest: la visione stereoscopica, cioè la capacità di apprezzare distanze e profondità, manca nello strabismo e nell’ambliopia. Si esegue facendo guardare al bambino con occhiali speciali (stereoscopici) delle apposite cartoline. In presenza di visione stereoscopica normale il bambino indicherà quali immagini gli appaiono in rilievo.
I difetti di rifrazione: miopia, ipermetropia, astigmatismo.
Nell’occhio emmetrope (normale), i raggi luminosi provenienti dall’infinito formano il loro fuoco sulla retina, nell’occhio miope il fuoco si forma davanti alla retina, nell’occhio ipermetrico dietro la retina, mentre nell’astigmatismo i raggi si raccolgono in modo distorto sulla retina provocando una visione confusa.
Tutti questi vari difetti si possono correggere con l’uso di lenti, che non hanno la funzione di guarirli, bensì di ristabilire una visione normale. Quando ci sia un diverso grado di miopia o ipermetropia o astigma-tismo nei due occhi (maggiore o uguale a due diottrie) si parla di anisometropia. In questo caso le conseguenze sulla visione sono le stesse dello strabismo unilaterale: l’immagine confusa, non a fuoco, verrà soppressa e si bloccherà lo sviluppo dell’acuità visiva nell’occhio interessato.
I difetti di rifrazione si individuano col dell’acuità visiva. Nei bambini che non conoscono ancora l’alfabeto si esegue con l’ottotipo della E di Snellen: l’esame va fatto ad una distanza di 5 cm, coprendo al-ternativamente (senza comprimere) i due occhi.
Criteri di invio allo specialista (da Panizon, Principi e pratica di terapia pediatri-ca, pag. 803)
Alla nascita e nei primi mesi di vita:
- se l’anamnesi familiare e quella pre e perinatale evidenziano possibili fattori di rischio (rosolie, grave prematurità, grave patologia neonatale a carico del sistema nervoso, grave miopia ereditaria)
- se l’ispezione evidenzia una pupilla biancastra (leucocoria) o se manca il riflesso pupillare rosso
- se c’è nistagmo
- se il bambino a due mesi non segue con lo sguardo
Ad ogni età:
- se c’è uno strabismo evidente o se uno dei test per lo strabismo latente (riflesso luminoso o cover uncover test) sono dubbi o patologici
- se i genitori o la maestra riferiscono dubbi sulla capacità visiva del bambino, difficoltà alla lettura o abnormi posizioni del capo (torcicollo oculare)
A quattro anni:
- se l’acuità visiva misurata con il test dell’E è inferiore a 6/10 in ciascun occhio o se c’è una differenza maggiore di 2/10 trai due occhi
A sei anni:
- se l’acuità visiva è inferiore agli 8/10 in ciascun occhio o se c’è una differenza di più di 2/10 tra i due occhi.
Come abbiamo visto gli aspetti che il pediatra analizza sono tanti ed è chiaro che per ciascuno di essi ci sono campanelli di allarme che possono essere individuati da personale non medico: quali sono questi segni di allarme?
Per il bambino nei primi due anni di vita qualsiasi ritardo, o regressione, nell’acquisizione delle tappe dello sviluppo psico-motorio; un’attività motoria e una reattività scarsa o al contrario esagerata; una mancata reazione a stimoli sonori oppure un ritardo nella vocalizzazione e nell’emissione dei primi bisillabi; la presenza di movimenti oculari anormali (nistagmo, o di deviazione dello sguardo — dopo il quarto mese –); oppure un bambino che non fissa e non cerca di liberarsi da uno schermo posto davanti agli occhi. E inoltre considerare disturbi relazionali che possono essere già evidenti nei piccolissimi: la mancanza di sorriso e di interesse al volto umano e al gioco, la presenza di movimenti stereotipati, possono essere le prime spie di un difetto intellettivo o di una sindrome autistica.
Per il bambino più grande valutare sempre la presenza di problemi comportamentali (iperattività, aggressività, difetto di attenzione), ritardi del linguaggio, disturbi dell’equilibrio e anomalie della deam-bulazione, tutti i segni indiretti di deficit acustico o visivo (bambini che si fanno continuamente ripetere le cose o alzano il volume del televisore; bambini che strizzano gli occhi o si avvicinano troppo per vedere, che non seguono le righe nella scrittura o lamentano cefalee).
Si potrebbe continuare con un lungo elenco, ma credo che le annotazioni fatte siano sufficienti ad esprimere il richiamo che intendevo formulare.
Gli aspetti che si analizzano sono tanti ed è chiaro che per ciascuno i sospetti da parte dell’insegnante impongono il richiamo all’attenzione del pediatra.
Da Rivista L’insegnante specializzato, 2/94
ISFAR viale Europa 185/b Firenze, info@isfar-firenze.it, www.isfar-firenze.it
[/pt_text]