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ANTONELLA ODDONE

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Il pediatra veniva una volta definito come lo specialista in malattie del bambino.

In realtà il tempo dedicato alla cura delle malattie è quasi comparabile al tempo dedicato alla prevenzione, ai controlli di salute, ai colloqui coni genitori.

La peculiarità del pediatra, d’altra parte, è che il rapporto con il paziente, almeno fino alle soglie dell’adolescenza, è media­to dalla famiglia e la famiglia si è andata via via trasformando: nascono sempre meno bambini, spesso c’è un solo preziosissimo bimbo per famiglia; e i nuclei familiari sono sempre più ristretti: dalla ras­sicurante famiglia patriarcale con nonni, zii, cugini e un secolare buon senso su cui contare, all’insicurezza di due più o meno giovani genitori.

Il pediatra dunque è, o dovrebbe essere, un medico di famiglia. Sappiamo bene come moltissimi proble­mi di natura psicologica e anche fisica (somatizzazioni) trovino la loro chiave nel­l’ambito familiare. La salute psicologica ed emotiva del bambino in una società do­ve c’è una continua rivoluzione di valori e di « verità » è importante quanto quella fisica ma è difficile da verificare perché:

  • manca al Pediatra l’educazione al col­loquio psicologico, cioè le abilità scien­tifiche a far parlare, a «tirar fuori ». Tutto è basato sull’istinto e la sensibi­lità di ciascuno di noi.
  • bisogna spesso superare la paura e la reticenza dei genitori stessi a parla­re: ci sono è vero genitori superscrupolosi e superattenti (anche troppo a volte) ma ci sono anche quelli che cercano di evitare e sfuggire i problemi (per vergogna? Paura inconsapevole di scoprire verità sgradevoli? Rifiuto della realtà?).A me succede spesso quando indago sulle acquisizioni dello sviluppo psicomotorio, ma ho avuto anche genitori che non hanno sottoposto il loro bam­bino di pochi mesi con nistagmo al controllo oculistico (il bambino ora ha 4 anni e anche le maestre hanno rile­vato difficoltà visive!) e genitori di bam­bini con IVU alte ricorrenti, che hanno rifiutato le indagini radiologiche.
  • bisogna fare i conti anche con l’insicurezza dei genitori stessi, che talvol­ta portano il bambino da due-tre-quattro medici all’insaputa del primo (che è il curante) con il risultato di confon­dersi le idee e di non sapere più di chi fidarsi. In casi estremi si arriva alla per­dita del rapporto di fiducia (purtroppo, dispiace sempre moltissimo perché è una sconfitta).

Naturalmente anche il pediatra non è una divinità scevra da errori: se il suo lavoro, nonostante le difficoltà sovraesposte, può ancora sembrare semplice (visite di con­trollo, malattie in gran parte acute e beni­gne che si autorisolvono) nella pratica, quotidiana ci si scontra con problemi cau­sati dal sovraccarico di lavoro che, se rea­le in certi periodi dell’anno (epidemie influenzali) è molto spesso un ingolfo cau­sato dalle pretese eccessive di visite domiciliari per problemi ambulatoriali: alcuni genitori si mostrano più carenti di buona educazione che non di educazione sa­nitaria.

Posta questa premessa è evidente che il rapporto con strutture e persone che si occupano del bambino, oltre la famiglia, è fondamentale: asili nido, scuole, strutture sportive. In particolare la maestra tra­scorre con il bambino circa la metà della giornata ed ha sia la competenza che l’obiettività per segnalare subito difetti comportamentali, sensoriali o addirittura pro­blemi mi ordine neurologico (piccolo male) sfuggiti ai genitori.

 

Che cosa chiede il pediatra alla scuola?

Innanzi tutto un rapporto di collaborazio­ne: parlare con la famiglia, ma anche con il pediatra, quando insorgono dei proble­mi. E i problemi possono essere tanti, e di varia gravità. Faccio alcuni esempi:

  • bambino con problemi comportamentali (iperattività, difetto di attenzione, scarsa concentrazione- tenere pre­sente che ci sono farmaci che posso­no provocare disturbi del comporta­mento, come i barbiturici o alcuni antiasmatici)
  • bambino con ritardo del linguaggio;
  • bambino con impaccio motorio;
  • bambino con difetto uditivo;
  • bambino con difetto visivo (strizzano gli occhi quando fissano, si avvicina­no troppo per vedere, si strofinano gli occhi, non seguono le righe nella lettura e scrittura, lamentano cefalee);
  • bambino con difetto di apprendimento specifico (dislessia, disgrafia).

In questi casi sarà il pediatra a distingue­re la specifica necessità di un approfondimento diagnostico e della visita dello specialista del secondo livello (che potrà essere il neuropsichiatra infantile, l’oculi­sta, l’otorino il logopedista e così via). Se l’insegnante ha un dubbio, un sospet­to, è essenziale che informi la famiglia e la indirizzi primariamente dal pediatra che segue il bambino. Questo per evitare inutili allarmismi e visite spesso superflue da specialisti vari, saltando proprio la perso­na che meglio conosce dalla nascita il piccolo e l’ambiente familiare in cui vive. Senza contare che esprime dei dubbi nei riguardi delle capacità intellettive o del comportamento di un bambino e parlare brutalmente per esempio di visite neuropsichiatriche può mettere fortemente in crisi un genitore e creare rapporti di antipatia e sfiducia nei riguardi dell’insegnante. Se invece la richiesta parte da un medico sa­rà senz’altro accettata con più serenità. Ovviamente sarebbe auspicabile che l’in­segnante conoscesse almeno di nome il pediatra di ciascun bambino ed esprimesse a lui direttamente i propri dubbi. Que­sto dialogo permetterebbe una migliore comprensione delle difficoltà del bambi­no (come si è detto i genitori a volte non capiscono o si rifiutano inconsciamente di capirei problemi). D’altra parte il pedia­tra può fornire informazioni preziose per l’insegnante: ci sono alcuni farmaci e al­cune patologie croniche che possono in­fluire sullo sviluppo psichico o quanto me­no sul comportamento del bambino, ad esempio i barbiturici possono provocare difetto di attenzione e sonnolenza come pure iperattività, molti dei farmaci antia-smatici (il cortisone, i beta 2 stimolanti so­no spesso causa di eccitazione e aggressività). Lo stato allergico di per sé può in­fluire sul rendimento scolastico (esiste una sindrome detta tensione fatica, caratteriz­zata da cefalee, facile stancabilità intellettiva, irritabilità). Per non parlare dei pro­blemi connessi con l’epilessia. In generale comunque, tutte le malattie croniche (dia­bete, artrite reumatoide ecc.) comporta­no uno stato di « diversità » e un carico di ansia che possono influire negativamente sulla personalità del bambino, e di cui è importante tenere conto.

In che cosa consiste l’aspetto preventi­vo dell’attività del pediatra?

Il bambino viene dimesso dall’ospedale con un libretto di salute in cui il pediatra

neonatologo ha già segnato note ana-mnestiche riguardanti eventuali malattie familiari, il decorso della gravidanza, le modalità del parto, eventuali problemi in­sorti nei primi giorni di vita, i risultati degli screening eseguiti (in Toscana si pratica­no abitualmente gli screening per malat­tia fibrocistica, ipotiroidismo, fenilchetonuria).

Nel libretto di salute verranno via via annotati, oltre alle malattie, anche i dati rilevanti durante le visite periodiche di con­trollo.

Dunque già al primo incontro con il bam­bino abbiamo in mano alcuni elementi che ci permettono di valutare situazioni di ri­schio: dall’anamnesi familiare sapremo se esistono malattie ereditarie che possono presentarsi nel bambino: il diabete, ma­lattie allergiche, alcune malattie del siste­ma nervoso (malattie neurometaboliche, malattie neurocutanee, alcune malattie de-generative del sistema nervoso), malattie muscolari (distrofie), alcune malattie ocu­lari, ipoacusie e sordità ecc. Sapremo se la gravidanza è decorsa regolarmente o se vi sono state infezioni virali (rosolia, toxoplasma, herpes virus, CMV, etc.) con conseguenze sullo sviluppo sensoriale e del sistema nervoso, oppure patologie (di­stacco di placenta, diabete, gestosi) che abbiano provocato un danno anossico del sistema nervoso centrale.

Verremo a conoscenza delle modalità del parto e di una eventuale sofferenza neonatale (che viene ben tradotta in numeri col punteggio Apgor, che in base all’osservazione di 5 segni clinici — tono, co­lorito, attività respiratoria, attività cardiaca, riflessi — è in grado di fornire un primo giudizio sulla vitalità del neonato), avremo i risultati degli screening eseguiti alla na­scita. Tutti i bambini « a rischio » andran­no seguiti accuratamente nei primi due anni di vita con particolare riguardo allo sviluppo psicomotorio e andranno sottoposti a visite specialistiche precoci per va­lutare la funzione visiva e uditiva. La prima visita è inoltre un momento relazionale im­portante: è un’occasione, la prima, di in­contro e di dialogo con i genitori, serve a fare conoscenza reciproca, a chiarire dubbi, a porre le basi di quel rapporto di fiducia tanto discusso quanto essenziale nella professione medica.

I successivi controlli di salute saranno rav­vicinati nei primi due anni di vita (1-5-9-12-18-24 mesi) in particolare come si è detto, per i bambini a rischio. In seguito saranno annuali.

I bilanci di salute

« I bilanci di salute sono controlli globali effettuati nei bambini sani o presunti tali, allo scopo di evidenziare in età chiave se­gni di patologia o problemi tipici dell’età, quando è ancora possibile intervenire pre-cocemente con consigli e cure (preven­zione secondaria). Per ogni patologia esiste infatti un’età ottimale per la sua in­dividuazione, che in genere coincide con l’età migliore per un tempestivo interven­to di terapia-prevenzione. A differenza del­lo screening, che è una ricerca mirata di patologie, il bilancio di salute è un esame generale, che però terrà conto, inevitabil­mente, in maniera preminente dei proble­mi propri o prevalenti dell’età in cui il bilancio è effettuato » (da Tamburlini, Pe­diatra di base, pag. 85).

Sia ben chiaro comunque che al pedia­tra di base non sono richieste diagnosi raf­finate di rare malattie del sistema nervoso centrale per esempio, o degli organi sensoriali: se ne è capace tanto meglio, ma il suo compito preminente è saper distin­guere il normale dal patologico o dubbio e di inviare i casi sospetti allo specialista di secondo livello che farà una diagnosi precisa e imposterà la terapia con la sua collaborazione.

Durante la visita di controllo andranno sempre esaminati lo sviluppo psicomotorio e la crescita staturo-ponderale, lo svi­luppo del linguaggio e, a determinate età, la funzione visiva e la capacità uditiva. An­dranno ricercati problemi di natura ortopedica (L.C.A., scoliosi), malocclusioni e carie dentarie, segni di cardiopatie (il 90% delle cardiopatie Congenite è diagnosticabile entro i primi sei mesi), andrà valutato lo sviluppo sessuale e la presenza di criptorchidismo, andrà misurata la pressione arteriosa, andranno date precise indica­zioni alimentari (quante malattie dell’adulto hanno la loro base in errori alimentari acquisiti fin dai primi anni di vita?); saranno chiariti tutti i dubbi riguardo alte vacci­nazioni.

L’allarme può essere rilevato anche da una sollecitazione esterna che si auspica possa essere l’insegnante.

Collaborazione alla prevenzione.

Torno a ribadire che l’allarme per molte situazioni patologiche può essere rileva­to non solo dal medico durante la visita periodica ma anche da chi si occupa giornalmente del bambino: le maestre e so­prattutto quelle degli asili-nido e della scuola materna devono conoscere bene quella che è la « normalità. » cioè te tappe normali dello sviluppo del bambino e de­vono essere in grado di segnalare subito al pediatra ogni sospetto di devianza dalla normalità.

Accrescimento staturo-ponderale

Il controllo dello sviluppo armonico-ponderale è un momento essenziale di ogni visita pediatrica: la maggior parte delle malattie (e nel primo anno di vita anche banali come il raffreddore) comporta un arresto o una diminuzione della crescita. E d’altra parte un arresto della crescita ha sempre alla base una patologia da risol­vere.

Una crescita armonica si rifletterà positivamente anche nella maturazione psico­logica del bambino: è evidente il senso di inferiorità che può derivare da una bas­sa statura o dall’obesità.

La crescita viene valutata attraverso il si­stema dei percentili, che consiste in un grafico con un sistema di coordinate che pone sulle ascisse l’età del bambino e sulle ordinate il valore rispettivamente del peso, della statura e della circonferenza cranica.

La crescita si considera nella norma quan­do le misure del bambino si trovano tra il 3° ed il 97° percentile e seguono nel tempo sempre lo stesso percentile. Andranno valutati:

1)  Il valore assoluto di peso, altezza e cir­conferenza cranica (nei primi due an­ni la circonferenza cranica è un indice fedele della crescita encefalica).

2)  Il rapporto armonico di questi valori.

3)  La regolarità di crescita.

Lo sviluppo psicomotorio

Ad ogni visita pediatrica andrà effettuato un controllo dello sviluppo psicomotorio e neuromotorio, tra di loro strettamente interdipendenti, e delle capacità relazionali del bambino.

Il sistema nervoso del bambino è ancora immaturo alla crescita; solo a tre anni sa­rà completamente sviluppata la rete sinaptica cerebrale e la mielinizzazione della corteccia e delle vie piramidali. L’esame neurologico dei neonato e del lattante è quindi peculiare. Andranno esaminati:

1) Postura e tono muscolare.

Nel neonato c’è un’ipotonia assiale con ipertonia degli arti, che andrà scomparen­do via via che si svilupperà il controllo vo­lontario del tono muscolare.

  • a due tre mesi il bambino solleva il ca­po dalla posizione prona e lo tiene eretto
  • a sei mesi sta seduto con appoggio e entro gli otto mesi senza appoggio
  • a nove mesi riesce a sollevarsi e inizia la deambulazione a quattro zampe
  • a dodici-tredici mesi inizia la deambulazione eretta
  • a due anni il bambino corre e sale le scale
  • a tre anni scende le scale

2) Riflessi.

Nel neonato sono presenti i riflessi « arcaici » (Moro, suzione, marcia automati­ca, punti cardinali, raddrizzamento etc.) che scompaiono nel corso del primo an­no di vita. Di contro compaiono altri riflessi (Landau, Paracadute). La persistenza dei riflessi arcaici è indice di patologia.

 3) Motilità.

I movimenti del neonato sono grossola­ni, afinalistici e asimmetrici:

  • a tre-quattro mesi il bambino allunga le mani verso un oggetto
  • intorno a tre mesi è in grado di afferrarlo bene (prensione palmare)
  • a sei mesi trasferisce gli oggetti da una mano all’altra
  • a nove mesi afferra « a pinza » tra pol­lice ed indice.

4) Indici relazionali.

Riguardano il comportamento globale del bambino, la sua socialità, la capacità di attenzione e comprensione, i rapporti e le reazioni nei confronti dell’ambiente e dei genitori.

5) Lo sviluppo del linguaggio.

Lo sviluppo di un linguaggio adeguato ri­chiede:

  1. a) l’integrità delle vie e dei centri nervosi e sensoriali e degli organi fonatori pre­posti alla sua realizzazione;
  2. b) la presenza di adeguati stimoli ambien­tali e affettivi. (È risaputo che l’assenza di stimoli oltre i primi tre anni di vita im­pedisce la comparsa del linguaggio).

Dunque: nel primo mese il bambino emet-te grida e suoni modulati. Intorno a due-tre vocalizza (a, e, e poi le altre vocali):

  • a quattro mesi pronuncia suoni guttu­rali (gh, ch)
  • a sei mesi inizia la lallazione, che con­siste nell’emissione dei primi bisillabi ripetitivi (in genere sono consonanti la­biali seguite da una vocale)
  • intorno ai dodici mesi pronuncia le pri­me parole significative (mamma, bab­bo)
  • a diciotto mesi compare la « parola-frase » (cioè una singola parola sottende un’intera frase, per es.: «pappa!» vuol dire «mamma, voglio mangiare»)
  • a venti mesi-due anni il bambino uni­sce due-tre parole (frase-contratta)
  • dopo di due anni il vocabolario si ar­ricchisce velocemente
  • a tre anni il bambino è in grado di usa­re appropriatamente verbi, pronomi, avverbi e congiunzioni
  • a cinque anni lo sviluppo del linguag­gio è completo. Ovviamente ciascun bambino ha propri ritmi di sviluppo: c’è chi cammina bene a nove mesi e chi a quindici; chi parla cor­rettamente a un anno e chi pronuncia le prime parole a due anni.

Ci sono a proposito varie scale di valuta­zione tra cui una tra le più semplici è il test di Denver, che individua un profilo di svi­luppo con particolare riguardo all’attività motoria grossolana e adattativa, al lin­guaggio, al comportamento personale e sociale.

Ciascuna tappa di sviluppo è rappresen­tata da una barra orizzontale situata sot­to la scala dell’età. In ciascuna barra ci sono quattro tacche a indicare rispettiva­mente a quale età il 25% , il 50% , il 75% e il 90% dei bambini esaminati è in gra­do di effettuare quel determinato del test. L’incapacità di eseguire un item superato dal 90% dei bambini è indice di un ritardo.

Il ritardo del linguaggio

Un ritardo del linguaggio può essere

1) semplice (spesso familiare, in bambi­ni con normale sviluppo psicomotorie, è dovuto a ritardata maturazione dei meccanismi fonoarticolatori e si risol­ve spontaneamente)

2) secondario, a cause organiche (sordità, ritardo mentale, paralisi cerebrale infantile) o a cause psicoaffettive (deprivazione affettiva). Di fronte ad un ritardo del linguaggio, so­prattutto se non associato ad altre pato­logie evidenti, è importante verificare sem­pre a) la capacità uditiva (ad ogni età, come diremo in seguito; b) la compren­sione, (invitando il bambino a compiere azioni semplici, per esempio: “dammi la penna”)

3) la capacità esecutiva (valutando l’uso di adicoti e avverbi, la capacità di pronun­ciare frasi grammaticalmente strutturate o con un vocabolario appropriato per l’e­tà).

La ricerca di eventuali disturbi del lin­guaggio deve essere fatta al bilancio di salute dei quarto anno. A questa età si po­tranno verificare:

1) disturbi del ritmo delle parole (balbuzie)

2) disturbi dell’articolazione delle parole (dislalie, disartrie)

3) la qualità, il timbro e l’intensità della voce

4) la comprensione del linguaggio e la capacità esecutiva

L’udito

La sordità e l’ipoacusia possono essere di tipo:

1) neurosensoriale, per danni delle cel­lule sensitive cocleari o del nervo acu­stico. A sua volta può essere ereditaria e acquisita (farmaci o più frequentemente infezioni vitali, come parotite, influenza, morbillo). Sono quasi sempre irreversibili.

2) trasmissiva dovuta ad affezioni dell’o­recchio medio e compatibili di tratta­mento medico e chirurgico.

3) mista.

4) centrali, in cui manca la comprendo-ne del messaggio uditivo in assenza di alterazione degli organi uditivi.

Si parla di difetto lieve quando la perdita di udito è di 15-30 db., moderato (30-50 db.), severo (50-80 db.), profondo (80-100 d..b.).

E importante ricercare un difetto uditivo perché è dimostrato che un bambino pri­vate di stimoli uditivi fino a tre anni non potrà sviluppare il suo potenziale lingui­stico, e un bambino che diventa sordo a sei anni perderà tutto il patrimonio lingui­stico acquisito. D’altra parte anche mini­mi difetti uditivi come quelli dovuti all’otite media possono provocare difetti di com­prensione e di apprendimento.

Alla nascita e al primo anno andranno ri­cercate essenzialmente e le sordità neuro-sensoriali gravi: lo scopo è di intervenire precocemente b, on l’interventi correttivi (protesi acustiche) prima cioè che il difet­to uditivo sia manifesto in modo da otte­nere il massimo del potenziale linguistico. A questo scopo andranno prima di tutto sensibilizzati i genitori che a casa, con cal­ma, possono rendersi conto se il loro pic­colo di tre o quattro mesi non si sveglia ad un rumore forte, oppure se a sette mesi non si gira verso una sorgente sonora, o se interno all’anno non sia presente (o sia scomparsa) la lallazione. Non aspettare l’assenza dei linguaggio a due anni, in un bambino con sviluppo psicomotorio nor­male, per mettersi in allarme. Andranno inoltre sempre indagati atten­tamente i bambini con anamnesi positiva per:

  • sordità familiari genetiche
  • malattie infettive in gravidanza (roso­lia, CMV, etc.)
  • sofferenze prenatali
  • iperbilirubiremia
  • uso di farmaci ototossici
  • presenza di malformazioni dell’orec­chio esterno, del naso e del palato. Intorno agli otto-dieci mesi è previsto co­me screening l’esecuzione del Boel test. Si è scelto questa età perché nel neona­to e nei primi mesi sono frequenti sia i fal­si positivi che i falsi negativi.

Il Boel test si basa sulla capacità di loca­lizzazione sonora del bambino:

  • il bambino è seduto sulle ginocchia della madre di fronte all’esaminatore che ne attrae l’attenzione con dei cer-chietti o bastoncini colorati. Quindi mantenendo fissa l’attenzione del bambino sull’oggetto colorato dalla parte opposta all’orecchio che si vuole esaminare, si produce un suono (in­tensità pari a 40 db. e frequenze acu­te) con dei campanelli d’argento, suonandoli a circa 30 cm dall’orec­chio. La risposta è buona se il bambi­no si gira verso il suono.
  • in caso di risposta dubbia l’esame va ripetuto e se vi sono elementi di positività del test il bambino andrà inviato allo specialista di secondo livello, che programmerà l’esecuzione dei poten­ziali uditivi evocati.

Nell’età prescolare e scolare è fondamen­tale ad ogni visita l’esame del timpano e la ricerca dei segni di otite media secretiva. Andranno quindi valutati accurata-mente i bambini con riniti allergiche o con segni di ipertrofia adenoidea (in questi casi la terapia antiallergica o l’adenoidectomia saranno risolutorie), bambini con otiti

correnti, con ritardo del linguaggio, e tutti quelli per culi genitori abbiano dei dubbi. In questi casi l’esecuzione del timpanogramma ci darà notizie sicure sul funzionamento del sistema timpano ossiculare (il timpanogramma è la tecnica di audio-metria obiettiva più comunemente usata).

La vista

Lo screening dei difetti visivi è importan­te perché:

1)  Un difetto della vista può dare segno di sé quando è ormai troppo tardi per la correzione (l’acuità visiva può essere recuperata solo quando la diagnosi è fatta prima dei quattro anni).

2)  Le ripercussioni sullo sviluppo dell’apprendimento sono sempre importanti

alla nascita e nel primo anno di vita an­dranno ricercate le più importanti malformazioni (cataratte, glaucoma con­genito, strabismo congenito). Andran­no valutati:

  1. a) riflesso dell’ammiccamento e riflesso pupillare (miosi) alla luce. La loro pre­senza indica integrità della retina e del nervo ottico (ma non escludono ceci­tà corticali)
  2. b) riflesso rosso: usando l’oftalmoscopio o l’otoscopio puntato sulla pupilla alla distanza di 20 cm si illuminerà la reti­na che dar un riflesso rosso, in caso di patologia si avrà un riflesso bianco (cataratta, retinoblastoma, presenza di masse endobulbari)
  3. c) riflesso luminoso sulla cornea: puntan­do una fonte luminosa a 40 cm dagli occhi i riflessi luminosi devono cade­re in punti corrispondenti della pupilla (serve ad evidenziare uno strabismo quando non è possibile eseguire il co-ver test)
  4. d) movimenti oculari: si valuteranno fa­cendo seguire al bambino una fonte luminosa nelle varie direzioni del suo campo visivo.

Nei casi a rischio (malattie infettive in gra­vidanza, sofferenze prenatali, prematurità, ossigenoterapia) andrà ovviamente effettuato precocemente un controllo oculistico

  • nel terzo e nei sesto anno di vita an­dranno ricercati i difetti di rifrazione, lo strabismo e l’ambliopia che ne può conseguire.
  • si parla di strabismo quando esiste una deviazione dell’asse oculare. Lo strabismo può essere evidente (tropia) o latente (foria), convergente o diver­gente (l’occhio devia in dentro o in fuo­ri), alternante (cioè interessa i due occhi alternativamente) oppure limitato ad un solo occhio, concomitante (l’an­golo di deviazione non varia con le va­rie posizioni dello sguardo), oppure non concomitante (paralitico o spasti­co). Questa classificazione non è sem­plice strabismo alternante non osta­cola lo sviluppo della visione, mentre gli strabismi latenti, non manifesti, sono importanti da identificare.

È importante l’identificazione degli strabi­smi anche non manifesti in quanto le de­viazioni minime dell’asse visivo hanno le stesse ripercussioni sulla vista di quelle maggiori e possono portare all’ambliopia. Infatti quando lo strabismo interessa un solo occhio (non è alternante), le imma­gini provenienti dall’occhio deviato giun­gono sulla retina in punti asimmetrici ri­spetto alle controlaterali e creano un’im­magine doppia.

L’informazione scorretta viene soppressa e piano piano l’occhio deviato perde o non sviluppa l’acuità visiva (fino ad arri­vare alla cecità legale, che corrisponde ad un virus minore di 1/10. In questo ca­so si parla di ambliopia. Lo strabismo si evidenzia con i seguenti test:

1) Riflessi luminosi sulla cornea

2)  Cover test: si fa fissare al bambino un oggetto a distanza di 30-40 cm e successivamente di 6 cm. Quindi si copre con un cartoncino ciascun occhio a turno; se c’è deviazione dello sguardo nell’occhio scoperto in test è posi­tivo. Serve ad evidenziare uno strabi­smo manifesto.

3)  Cover uncover test: si fa fissare un og­getto come sopra. Quindi si copre per pochi secondi ciascun occhio rimoven­do rapidamente lo schermi e copren­do l’occhio controlaterale; il test è positivo quando c’è deviazione dell’oc­chio che viene scoperto. Serve ad evi-denziare uno strabismo latente.

4)  Test della visione stereoscopica e stereotest: la visione stereoscopica, cioè la capacità di apprezzare distanze e profondità, manca nello strabismo e nell’ambliopia. Si esegue facendo guardare al bambino con occhiali spe­ciali (stereoscopici) delle apposite car­toline. In presenza di visione stereosco­pica normale il bambino indicherà qua­li immagini gli appaiono in rilievo.

 

I difetti di rifrazione: miopia, ipermetropia, astigmatismo.

Nell’occhio emmetrope (normale), i rag­gi luminosi provenienti dall’infinito forma­no il loro fuoco sulla retina, nell’occhio miope il fuoco si forma davanti alla reti­na, nell’occhio ipermetrico dietro la reti­na, mentre nell’astigmatismo i raggi si raccolgono in modo distorto sulla retina provocando una visione confusa.

Tutti questi vari difetti si possono correg­gere con l’uso di lenti, che non hanno la funzione di guarirli, bensì di ristabilire una visione normale. Quando ci sia un diverso grado di miopia o ipermetropia o astigma-tismo nei due occhi (maggiore o uguale a due diottrie) si parla di anisometropia. In questo caso le conseguenze sulla visione sono le stesse dello strabismo unilatera­le: l’immagine confusa, non a fuoco, verrà soppressa e si bloccherà lo sviluppo del­l’acuità visiva nell’occhio interessato.

I difetti di rifrazione si individuano col del­l’acuità visiva. Nei bambini che non co­noscono ancora l’alfabeto si esegue con l’ottotipo della E di Snellen: l’esame va fat­to ad una distanza di 5 cm, coprendo al-ternativamente (senza comprimere) i due occhi.

Criteri di invio allo specialista (da Panizon, Principi e pratica di terapia pediatri-ca, pag. 803)

Alla nascita e nei primi mesi di vita:

  • se l’anamnesi familiare e quella pre e perinatale evidenziano possibili fatto­ri di rischio (rosolie, grave prematurità, grave patologia neonatale a carico del sistema nervoso, grave miopia ereditaria)
  • se l’ispezione evidenzia una pupilla biancastra (leucocoria) o se manca il riflesso pupillare rosso
  • se c’è nistagmo
  • se il bambino a due mesi non segue con lo sguardo

Ad ogni età:

  • se c’è uno strabismo evidente o se uno dei test per lo strabismo latente (riflesso luminoso o cover uncover test) sono dubbi o patologici
  • se i genitori o la maestra riferiscono dubbi sulla capacità visiva del bam­bino, difficoltà alla lettura o abnormi posizioni del capo (torcicollo oculare)

A quattro anni:

  • se l’acuità visiva misurata con il test dell’E è inferiore a 6/10 in ciascun oc­chio o se c’è una differenza maggio­re di 2/10 trai due occhi

A sei anni:

  • se l’acuità visiva è inferiore agli 8/10 in ciascun occhio o se c’è una diffe­renza di più di 2/10 tra i due occhi.

Come abbiamo visto gli aspetti che il pe­diatra analizza sono tanti ed è chiaro che per ciascuno di essi ci sono campanelli di allarme che possono essere individuati da personale non medico: quali sono que­sti segni di allarme?

Per il bambino nei primi due anni di vita qualsiasi ritardo, o regressione, nell’acquisizione delle tappe dello sviluppo psico-motorio; un’attività motoria e una reattività scarsa o al contrario esagerata; una mancata reazione a stimoli sonori oppu­re un ritardo nella vocalizzazione e nell’emissione dei primi bisillabi; la presenza di movimenti oculari anormali (nistagmo, o di deviazione dello sguardo — dopo il quarto mese –); oppure un bambino che non fissa e non cerca di liberarsi da uno schermo posto davanti agli occhi. E inol­tre considerare disturbi relazionali che possono essere già evidenti nei piccolis­simi: la mancanza di sorriso e di interes­se al volto umano e al gioco, la presenza di movimenti stereotipati, possono esse­re le prime spie di un difetto intellettivo o di una sindrome autistica.

Per il bambino più grande valutare sem­pre la presenza di problemi comportamentali (iperattività, aggressività, difetto di attenzione), ritardi del linguaggio, distur­bi dell’equilibrio e anomalie della deam-bulazione, tutti i segni indiretti di deficit acustico o visivo (bambini che si fanno continuamente ripetere le cose o alzano il volume del televisore; bambini che striz­zano gli occhi o si avvicinano troppo per vedere, che non seguono le righe nella scrittura o lamentano cefalee).

Si potrebbe continuare con un lungo elen­co, ma credo che le annotazioni fatte sia­no sufficienti ad esprimere il richiamo che intendevo formulare.

Gli aspetti che si analizzano sono tanti ed è chiaro che per ciascuno i sospetti da parte dell’insegnante impongono il richia­mo all’attenzione del pediatra.

Da Rivista L’insegnante specializzato, 2/94

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