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CATERINA MARIUCCI

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È difficile dare una definizione di soggetto portatore di handicap. Al di là delle disqui­sizioni terminologiche, io credo che l’« han­dicappato » sia una persona che deve svi­luppare come gli altri le sue potenzialità. Ri­spetto a coloro che non hanno deficit nelle funzioni attese, egli ha in ambito scolastico maggiori difficoltà di apprendimento. L’apprendimento è un fenomeno complesso in cui sono coinvolte molte funzioni biologiche che interagiscono tra di loro.

La minorazione visiva limita parte delle stimolazioni ambientali. Essendo l’apprendimento basato sull’esperienza, è chiaro che l’interruzione di una parte di input ambien­tali ha una diretta influenza sull’apprendimento.

Tuttavia tale minorazione può essere oggi considerata un handicap di tipo strumen­tale in quanto, come dimostrano le ricerche sullo sviluppo cognitivo dei non vedenti, non interessai processi psichici superiori.

La percezione visiva è indubbiamente im­portante nella crescita di qualsiasi individuo, ma, come ha ben dimostrato Piaget, le no­stre conoscenze trovano fondamento più su schemi motori di base che non sulla visio­ne passiva degli oggetti.

Alla base dell’esplorazione tattile c’è dun­que l’idea del passaggio dalla fase senso-motoria a quella logico-astratta.

Inoltre oggi la tecnologia ha messo a pun­to una serie di apparecchi e sussidi didatti­ci che costituiscono degli ausili utili al mi­glioramento della autonomia personale e dello sviluppo cognitivo.

A mio avviso, integrare un bambino non vedente nella scuola di tutti significa trovare i sussidi e le strategie didattiche più opportune per sopperire, attraverso altri canali, al deficit sensoriale.

Inoltre la ricerca di canali alternativi per il passaggio dei messaggi educativi, potreb­be essere una proposta didattica non solo utile al bambino cieco ma anche stimolatrice per coloro che hanno la funzione visiva integra. Voglio cioè dire che sperimentare attraverso canali diversi la realtà può esse­re uno stimolo all’osservazione critica dei fenomeni, al saper vedere le cose da punti di vista diversi.

Il tatto

La mano è il principale strumento per l’acquisizione di concetti, il tatto è distribuito su tutto il corpo, mentre gli altri sensi interes­sano zone specifiche. Il tatto è la capacità di reagire alla variazione di pressione e tem­peratura.

Il cieco sviluppa presto una sensibilità di va­riazione di pressioni (sensazione di vuoto e pieno).

Ciò si sente con l’udito e con la pelle. La mano è l’organo privilegiato del tatto in quanto congiunzione tra il fare e il pensa­re, la mano ci consente di acquisire quelle conoscenze che servono per l’apprendimento. La mano si adatta agli oggetti, può assumere la forma, la mano cioè asseconda, ci aiuta a memorizzare la geometria, perciò è importante che il cieco sia educa­to ad usare la mano per fare e per pensa­re. La prima qualità percepita dalla mano è il calore dei corpi, è sensibile alla conducibilità termica.

La seconda ha a che fare con la struttura molecolare degli oggetti, ovvero la compattezza, friabilità, porosità, elasticità.

Grazie a ciò si identificano i materiali prima degli oggetti; infatti gli esercizi sulle qualità geometriche devono essere proposti per ultimi.

La vista è il senso delle grandi estensioni, la mano delle piccole; il campo percettivo della mano è grande quanto il palmo della mano. La mano costringe il cervello ad un lavoro simile al mosaico quando l’oggetto esplorato è più grande della mano.

La mano non conosce le regole dell’otti­ca e della prospettiva, ha sempre una per­cezione volumetrica; il difficile sta nel de­cifrare le sagome degli oggetti da una volumetria.

Per i ciechi un oggetto ha sempre le stes­se dimensioni poiché è impossibile toccarlo da lontano; se non è a portata di mano non c’è. Il potere risolutivo del tatto è la ca­pacità di distinguere due oggetti conse­cutivi.

Con il tatto ci sono dei parametri da consi­derare:

1) La distanza minima di 2 elementi; devo­no essere distanziati di 2,5 mm.

2) L’alto rilievo; tutti gli altri sensi funziona­no sul contrasto sfondo figura. Per il tatto questo rapporto, è un rapporto di altez­za fisica, cioè deve essere più alto del­lo sfondo, ovvero in rilievo. Il minimo rilievo deve essere di 3,4 decimi di mm.

3)  Il tatto discrimina meglio una linea tratteggiata o punteggiata rispetto ad una linea continua.

4) Il tatto riconosce meglio le forme sempli­ficate, non troppo ricche di particolari, con contorni netti e ben staccati dal pia­no, possibilmente a spigoli vivi.

Questi sono anche i criteri necessari da tener presente nella realizzazione di mappe tattili.

Come abbiamo già detto il tatto percepisce la realtà, con modalità diverse rispetto alla vista, cioè accede con facilità alla conoscen­za del volume degli oggetti (capacità stereognostica) e non alla sua proiezione bi­dimensionale, per tanto sarebbe inutile rappresentare il piano lontano, medio o vicino con le consuete regole prospettiche.

È opportuno dare il senso della distanza evidenziando la differenza dei piani con diversi spessori degli stessi, schiacciando molto sul fondo quelli più vicini secondo il concetto di davanti/dietro.

In questo modo si avrà un elaborato poco gradevole dal punto di vista estetico, ma ef­ficace per una corretta immagine mentale del bambino non vedente.

Si potrà porgere una mappa realizzata con le consuete regole della prospettiva solo do­po aver preparato adeguatamente il bam­bino alla decodifica di queste convenzioni. È comunque sempre bene informare l’al­lievo del tipo di rappresentazione usata (frontale, laterale; in pianta o prospettica) e, in grafici o disegni geometrici, se compaio­no linee immaginarie, quale codice le dif­ferenzia da quelle reali.

La più semplice delle mappe tattili si può realizzare per semplice punteggiatura su carta Braille o cartoncini bristol. Essendo il supporto poco resistente, con so il rilievo tende ad appiattirsi, pertanto è necessario fare una copia termoformata. Questa tecnica è quella più lunga e labo­riosa in quanto si tratta di realizzare una ma­trice a bassorilievo, però è quella che per­mette la maggiore ricchezza espressiva. Per un’immagine destinata alla termoformatura è necessario adottare alcuni accorgimenti per ottenere buone copie.

  • Supporto di cartone poroso, per agevo­lare l’aspirazione dell’aria durante la termoformatura;
  • Uso di materiale plasmabile quale das, plastilina, ecc…;
  • Evitare lo scorcio correggendo in visio­ne frontale;
  • Mappe con particolari ingranditi riprodotti con maggiore fedeltà;
  • Controllo dell’asciugatura;
  • Forellini intorno al perimetro e sui rilievi più alti in modo da ottenere copie ben spigolose.

Le prime esplorazioni devono essere sem­pre guidate dall’insegnante che descrive e spiega quanto rappresentato.

Un altro tipo di mappa tattile è quella realizzabile con la Tecnica Vincita. Per realizzare questo tipo di mappe occor­re avere a disposizione una fotocopiatrice corredata dell’apposito fornetto e della carta speciale; è un sistema che consente di ot­tenere un rilievo uniforme di 2 mm. con tempi di esecuzione minori rispetto alla mappa termoformata.

Innanzi tutto si selezionerà l’immagine da riprodurre eliminando i dettagli che rende­rebbero difficoltosa e confusa la lettura tattile e mantenendo i tratti significativi del disegno dal punto di vista semantico. Do­po aver scelto l’immagine bisognerà con­siderare la sua grandezza, in quanto se questa fosse troppo piccola sarà opportu­no fare degli ingrandimenti, poiché le linee non dovranno essere troppo ravvicinate. Per questo molto spesso, è necessario co­prire con tempera bianca o correttore par­te del disegno per alleggerire la composi­zione; accentuare il contrasto bianco/nero, ripassare con un pennarello nero a punta media i tratti non perfettamente nitidi. A que­sto punto si inserisce nella fotocopiatrice la carta speciale e si procede alla copia, la car­ta Vincita presenta una superficie compo­sta da microcellule in rilievo che, una volta segnate dall’inchiostro, reagiscono gonfian-dosi dopo l’introduzione nel fornetto.

Unità didattica: la drammatizzazione

Gli ultimi Programmi Ministeriali del 1979 prevedono nell’insegnamento della lingua italiana l’ulteriore sviluppo delle quattro abi­lità di base:

  • Saper ascoltare;
  • Saper leggere;
  • Saper parlare;
  • Saper scrivere.

Tali capacità possono essere riassunte in potenziamento della competenza linguisti­ca recettiva e produttiva.

Per quanto riguarda il parlato, esso si amal­gama con un uso informale della lingua che consente l’uso di strutture diverse dallo scrit­to. Un testo orale ben formato deve avere:

  • Precisione semantica;
  • Continuità interna;
  • Progressione informativa, continua ed esplicativa.

Occorre dunque programmare il parlato, che non deve essere naturale al massimo, ma deve seguire un curricolo. Nell’arco dei 3 anni il parlato si esplica attraverso 2 Macrofunzioni:

1) Parlare per capirsi;

2) Parlare per argomentare, cioè per soste­nere una tesi, per persuadere qualcu­no di qualcosa.

Nelle principali forme di comunicazione ora­le, qualunque sia l’attività del parlare, si do­vrà sempre motivare il bambino e creare le condizioni per il dialogo, per la relazione ecc. Altri aspetto importante del parlare è costi­tuito dall’aspetto creativo.

Tra le attività per migliorare la competenza produttiva orale è prevista anche la drammatizzazione.

 

La drammatizzazione

La drammatizzazione nasce e si realizza da esigenze di movimento e di azione, dal de­siderio di vivere situazioni fantastiche e av­venturose, di comunicare, esprimersi, rapportarsi agli altri, ma anche dal bisogno di affermare se stessi e di scaricare conflitti e tensioni emotive attraverso l’identificazione con personaggi e situazioni diverse.

La drammatizzazione è un’importante occa­sione di espressione libera che coinvolge tutto l’essere, la capacità razionale e fanta­stica, il corpo e l’immagine di una azione scenica realizzata tramite i mezzi espressivi del teatro: uno spazio scenico, personag­gi, costumi, gesti, parole e musica o suono. Non è opportuno servirsi però di un copio­ne rigidamente prestabilito da imporre a me­moria e da eseguire, ma solo di una traccia, una idea, un tema da sviluppare insieme agli altri, capace di sollecitare l’immagina­zione degli alunni in modo che si identifichino, improvvisando, con personaggi inventati.

Non è tanto importante il risultato, certamen­te imprevedibile, quanto il crescere dell’a­zione e la preparazione del lavoro, ossia tutto il processo che impegna la persona­lità dell’alunno e le risorse della scuola. Drammatizzazione è gioco, dunque, gioco con il corpo che ha per scopo il consentire di conoscere noi stessi, di far scoprire le possibilità di muoversi e percepirsi, di inter­pretare e rivivere episodi della propria vita reale o immaginaria, riproducendoli in mo­do libero e fantastico.

L’azione si realizza tramite il corpo quale strumento espressivo fondamentale e quin­di, il gesto, l’atteggiamento, ma anche lo sguardo, la voce, l’ abbigliamento e il trucco.

 

Iter metodologico

Il concetto di Unità Didattica è strettamen­te legato ad un tipo di insegnamento che tende a diventare sempre più scientifico. È quindi un’unità minima nell’articolazione del processo di insegnamento-apprendimento. L’ Unità Didattica può essere anche considerata come insieme coerente di atti­vità pedagogiche, ma anche parte di un tut­to (programmazione) che conduce l’alunno alla scoperta di nuovi elementi, alla loro acquisizione e fissazione.

Per la strutturazione di una U.D. dobbiamo dunque tener presente:

  • l’analisi dei prerequisiti;
  • la definizione univoca, e non generica,
  • dell’obiettivo specifico da raggiungere;
  • l’articolazione dei contenuti;
  • il metodo che intendiamo perseguire;
  • la previsione del tempo in cui intendia­mo svilupparla;
  • la verifica.

Prerequisiti di educazione linguistica

  • Aver svolto l’U.D. varietà della lingua (parlato). Il nostro modo di parlare dipende strettamente: da chi ascolta, dall’argomento, dal luogo, dal tempo, dallo scopo. Quando in una situazione comunicativa varia anche uno solo di questi elementi, varia anche il modo di parlare.
  • Aver svolto l’U.D. intonazione e modulazione della voce (ascolto-parlato). Quando parliamo o ascoltiamo, l’intonazio­ne ha una importanza grandissima, perché attraverso di essa facciamo capire l’inten­zione e gli stati d’animo. Attraverso l’into­nazione si esprime molto di più, a vote, di quanto si dice con le parole. Capiamo se chi ci parla è ben disposto verso di noi, o non lo è, se ci prende in giro, se ci sfida, se è incredulo, se ci informa ecc.
  • Aver svolto l’U.D. la descrizione (parlato). Quando descriviamo una persona, un og­getto, un luogo ecc.; selezioniamo quegli aspetti e quelle informazioni che sono più rispondenti allo scopo prefissato. La descri­zione può essere soggettiva o oggettiva. Il registro della descrizione varia con il varia­re del destinatario.
  • Aver svolto l’U.D. il dialogo (ascolto-parlato). I segnali che passano, in una situazione di parlato, non sono soltanto di tipo verbale.
  • Aver svolto l’U.D. parlare in pubblico (parlato).

 

Prerequisiti di educazione artistica

  • Aver svolto l’U. D. l’interpretazione e l’in­venzione.
  • Aver svolto l’U.D. la figura umana.
  • Aver svolto l’U.D. la testa e le mani.
  • Aver svolto l’U.D. gli
  • Aver svolto l’U.D. la carta.
  • Aver svolto l’U.D. la preistoria in parti­colare la pittura facciale.
  • Ave’r svolto l’U.D. il colore.
  • Aver svolto l’U.D. il materiale.

L’esercizio, per la sua complessità richie­de molte lezioni, gran parte delle quali de­dicate alle fasi preparatorie.

  1. A) Verificare

1)  La situazione scolastica in cui si deve at­tuare la drammatizzazione.

2)  L’esercitazione richiede la collaborazio­ne e la compresenza dei docenti di Ed. Tecnica, Ed. Artistica e Ed. Linguistica con i quali sarà bene condividere il pro­getto nella sua completezza.

3)  Le attitudini, abilità, capacità dei singoli soggetti nonché del soggetto portatore di handicap.

  1. B) Definire gli obiettivi dell’esercitazione

 

  1. C) Introdurre il gruppo all’argomento spie­gando il significato della parola ed il pro­getto nel suo insieme.

 

Obiettivi

1) Scoprire e prendere consapevolezza dell’uso espressivo del proprio corpo.

2) Realizzare una comunicazione attraver­so l’uso coordinato di gesti, parole, azioni.

3) Acquisire il possesso dello spazio fisico e percettivo attraverso l’azione e il mo­vimento.

Fasi della programmazione di una drammatizzazione

1) Individuazione di un tema-stimolo

2)  Stesura di una sceneggiatura cioè il filo conduttore delle azioni nel loro svolgersi sommario, culi personaggi dovran­no fare riferimento.

3)  Realizzazione di una scena, si può adot­tare qualsiasi spazio della scuola alle esi­genze della storia trasformandolo con fogli colorati o disegnati alle pareti, pezzi di legno, stoffe, cartoni ondulati e ogni altro oggetto che si può riuscire a recu­perare.

4)  Creazione dei personaggi, alcuni saran­no inanimati, realizzati con pupazzi o sa­gome disegnate, altri invece saranno realizzati dai ragazzi con maschere e costumi.

5)  L’invenzione delle figure dei personag­gi è una parte importantissima. Gli ab­bigliamenti possono essere di carta o di vecchie stoffe, i visi possono essere co­perti da maschere per accentuare l’espressione e per identificare i perso­naggi.

6)  Maschere e/o trucco, il trucco è un mo­do per esprimere e comunicare, per mo­dificare la propria fisionomia. Prima di eseguire il trucco sul viso è bene studia­re il disegno e il colore. Disegnare le for­me e scegliere i colori in modo da evidenziare una o più parti del viso, op­pure cercando di esprimere un perso­naggio (es. arrabbiato, ottimista, furbo). Questo vale anche per le maschere che naturalmente potranno essere arricchi­te con materiali vari incollati (strisce di carta, piume, pezzi di stoffa ecc.).

7) verifica, sarà immediata durante l’ese­cuzione.

 

Obiettivi per il bambino non vedente

  • Obiettivo generale. essere capace di comu­nicare materialmente diversi stati d’animo.
  • Obiettivi specifici: essere capace di colle­gare, attraverso l’esplorazione tattile, una determinata superficie ad uno stato d’a­nimo o sentimento. Essere capace di ri­levare tattilmente, attraverso la morfo­logia del volto, contorni, forme, espres­sioni e loro mutamenti. Essere capace di « visualizzare » quanto rilevato attra­verso materiali diversi.
  • Prerequisiti Capacità di comunicare per scritto organizzando composizioni ine­renti al proprio vissuto personale. Capacità di manipolare ed operare con materiali vari riconoscendone le super­fici in base alle caratteristiche; ruvido, scio, ondulato, morbido ecc.. Capacità di distinguere materiali che danno sensazioni di freddo e sensazio­ni di caldo.
  • Capacità manipolatorie, punteggiare, strappare, tagliare, incollare materiali di­versi.
  • Materiali, mezzi e strumenti Carta metalliz­zata, carta ondulata, carta vetrata, car­ta accartocciata, polisterolo, scovolino, cotone idrofilo, cartoncino, panno len-ci, colla, forbici, biadesivo, punteruolo, nastro dymo, dattilobraille.
  • Metodo Individualizzato come presentazio­ne di forme problematiche. Verrà sotto­posto al bambino non vedente un car­toncino, precedentemente preparato, con diversi tipi di materiali: cartoncino liscio, polisterolo, carta vetrata, cotone idrofilo, panno lenci, carta metallizzata, invitandola a sceglierli per rappresentare diversi sentimenti.

Una volta effettuati i collegamenti fra le va­rie superfici e diversi sentimenti, si inviterà l’alunna a rappresentare l’espressione di una persona arrabbiata, dolce, decisa, stupefatta, ponendo l’attenzione sul fatto che è il volto ad estrinsecare lo stato d’animo di una persona. (Tav. 1)

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L’alunna verrà invitata all’esplorazione tattile del volto ogni volta che questo cambie­rà espressione.

In questo modo, si renderà conto che cia­scun sentimento può modificare i tratti del volto attraverso contrazioni o rilassamento dei muscoli facciali.

A questo punto l’alunno utilizzando i mate­riali abbinati ai sentimenti, riprodurrà il vol­to quando è arrabbiato dolce ecc..

Verifica Immediata durante l’esecuzione.

Da Rivista L’insegnante specializzato, 2/94

ISFAR viale Europa 185/b Firenze, info@isfar-firenze.it, www.isfar-firenze.it

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