Apprendere dall’allievo

allievo p.

“Apprendere dall’allievo”, una affermazione che può sembrare perfino un paradosso, una contraddizione, abituati purtroppo come siamo, a sentirsi più impegnati ad insegnare “a lui” anziché apprendere “da lui”. “Noi, insegnanti, soggetti nella norma e acculturati, cosa possiamo apprendere da un soggetto frenato o ostacolato negli apprendimenti, un insufficiente a se stesso, un «mancante»”?

Che un allievo possa avere difficoltà ad apprendere è vero, ma ciò non vieta a lui di esprimersi, di comunicare, anche quelli definiti «maschere inespressive» perché ineloquenti, attraverso questa inespressività ci inviano dei messaggi, proprio quelli che noi siamo tenuti a decodificare. Ma perché quindi apprendere dall’allievo? Perché è ora che da pedagogisti nel ruolo di insegnanti si dia inizio ad insegnare a lui solo dopo avere appreso dalla sua lezione!

Ogni allievo, ed in particolare chi incontra difficoltà nell’apprendere, data la poli-dimensionalità delle difficoltà che presentano, si affida a noi che, impegnati educativamente e sostenuti dalle dichiarazioni di J. J. Rousseau: «Apprenez à connaìtre vos enfants”, non trascuriamo la loro conoscenza indispensabile per intervenire consapevolmente in loro aiuto.

Nel principio di una pedagogia attiva, per un insegnante è assai più importante l’allievo così come egli si presenta e per come riuscirà a guidarci, insegnandoci la via da seguire per risolvere i suoi disagi, le sue difficoltà. Al pedagogista nel ruolo di insegnante occorre andare oltre le categorizzazioni strutturate sulla patologia, in una scuola inclusiva, e comunque per ogni principio pedagogico, egli è un persona con un temperamento, un carattere e una propria personalità, un essere del quale non possiamo limitarci alla formulazione di un quadro sindromico.

L’allievo ci parla con la grammatica che gli è propria, col suo modo di essere e di rappresentarsi, un linguaggio che noi dobbiamo comprendere per capire il significato dei messaggi che in esso sono contenuti, solo stando assieme a lui possiamo conoscerlo tanto da apprendere da lui gli elementi che lo caratterizzano e ciò che lo favoriscono, ogni potenzialità gnosico-prassica, ogni caratteristica psico-fisica, le capacità acquisite e le capacità potenziali, lo stile comportamentale ed ogni espressione con cui egli vuole trasmetterci notizie di sé. Egli comunica le sue necessità a mezzo di cinemi, di esibizioni fisiognomiche, di linguaggi testimoni, esprime i disagi, i bisogni, la sofferenza per tutto ciò che lo rende “diverso”, il suo essere  emozionalmente debole e psicologicamente fragile, a noi la responsabilità di saper apprendere dalla sua lezione e apprendere da questo insegnamento significa assumere consapevolezza di cosa fare per arginare gli insuccessi. È perciò indispensabile prendere le distanze da una istruzione basata sulla ripetizione meccanica e frequente di atti, su esercizi di vario tipo, come gli esercizi di consolidamento…, per l’attivazione…, per l’acquisizione…, per sollecitare…, poiché la ripetizione continua e tediosa di esercizi espone l’allievo ad una condizione di separatismo e isolamento, specie quando viene fatto sostare davanti a un monitor a ripetere esercizi o a realizzare schede in una postazione differenziale, questo tipo di intervento ci fa dimenticare il vero criterio educativo che poggia su esperienze cariche di significati, traduttrici e promotrici di affetti, nell’elaborare e rievocare, assaporare e valorizzare ogni risorsa, ogni desiderio e intenzionalità a promozione di una autentica inclusione.