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GUIDO PESCI

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«Apprendere dall’handicappato» può sembrare un paradosso, una contraddizione, abituati, purtroppo, come siamo, a sentirsi più impegnati ad insegnare anziché apprendere da lui.

Qualcuno mentre legge, senz’altro si chiederà: cos’è che noi,  «soggetti nella norma e acculturati», possiamo apprendere da un soggetto, ad esempio, debole mentale e dunque in difficoltà  ad apprendere, da un essere «vuoto», da un «deviante», da un  «insufficiente a se stesso», da un «mancante»?

Che un handicappato psico-fisico abbia, spesso, difficoltà ad apprendere è vero, ma ciò non vieta a lui di esprimersi, di comunicare! Anche quelli che sono definiti «maschere inespressive» perché il loro sguardo e il loro mimo facciale sono ineloquenti, vogliono, proprio attraverso questa inespressività, inviarci dei messaggi che noi siamo tenuti a decodificare.

Ma perché apprendere dall’handicappato? Perché è ora che si dia inizio ad insegnare a lui solo dopo che noi abbiamo imparato la lezione! Purtroppo un essere «normale», nonostante la sua incapacità, impreparazione, aprofessionalità, si sente sempre  sufficiente per l’handicappato.

Un errore grossolano. Non si è ancora capito che l’handicappato più del «normale», data la polidimensionalità che le sue difficoltà rappresentano, richiede una ampia conoscenza ed esperienza professionale. L’handicappato ci parla con la grammatica che gli è propria, col suo modo di essere e di rappresentarsi, un linguaggio che noi dobbiamo comprendere per capire il significato dei messaggi che in esso sono contenuti, un conoscere l’handicappato stando assieme a lui per apprendere da lui gli elementi che lo caratterizzano. Da tempo si sente parlare di indagine sull’handicappato, in realtà non si fa neppure questo, tuttalpiù si fa una indagine e una valutazione dell’handicap.

Abbiamo ormai assunto ampie conoscenze sulla patologia e non possiamo continuare in semplici categorizzazioni dell’handicappato, come ad esempio: ha la lingua scrotale, ha scialorrea, ha le mani e le dita dismotiliche e tozze e quindi è un Down; non è un «lui», è un Down!? Per me l’essere Down non significa avere abbandonato la sua persona, egli è e rimane un essere se pure con un temperamento, un carattere e una personalità modellata sul suo handicap e dal suo handicap. Un essere del quale non possiamo limitarci ad una raccolta di dati per offrire la formulazione di un quadro sindromico avallato da una eziopatogenesi garantita dalla storicità del soggetto. Tutto questo è importante, ma a mio parere, assai più importante è il soggetto con la sua struttura psico-fisica e la sua personalità, così come egli si presenta a noi e per come riuscirà a guidarci, insegnandoci la via da seguire per risolvere i suoi problemi, una risoluzione che non avviene semplicemente perché propongo a lui sinistro una serie si esercizi destrimani, ma perché mi muovo nell’abbattere le sofferenze di un corpo scarsamente percepito e rappresentato.

L’apprendere dall’handicappato permette di ovviare a qualunque priorità clinica, non esisterà infatti un momento diagnostico che si impone come primo ed un momento terapeutico e riabilitativo che si pone come secondo, esisterà solo un muoversi in sintonia con l’apprendere da lui ciò che lo favorisce. Se volgiamo arginare gli insuccessi non basta sottoporre l’handicappato ad esercizi propri della rieducazione pedagogica, così come avviene, spesso, ancora oggi, esercizi proposti e ripetuti per vincere disabilità, ad esempio, di apprendimento, pur dosati progressivamente, è necessario tener conto dei messaggi inseriti nella lezione che l’handicappato ci propone. L’handicappato porta con sé crepe e malformazioni nella costruzione del bambino e del ragazzo, egli soffre della sua malattia o del suo essere diverso, soffre dei suoi complessi di autoinsufficienza, di esclusione, della sua incapacità a ben comprendere ciò che infeconda il sapere, è reso emozionalmente debole e psichicamente fragile. Come scopo dell’intervento che tende ad aiutare l’handicappato si sente parlare spesso di automatismo, ciò che dimostra non avere ancora sufficientemente chiarito che l’automatismo è garantito solo a seguito di una conoscenza; accade così che invece di integrare le nuove nozioni alla persona si cerca, anche in questo caso, solo di fissare delle istruzioni e di farle ripetere.

Per ovviare a questi inconvenienti che riferiscono l’inutilità di un intervento di recupero, dobbiamo apprendere dall’handicappato non solo le potenzialità gnosico-prassiche, le caratteristiche psico-fisiche, le capacità acquisite e le capacità potenziali, ma pure, ad un tempo, lo stile comportamentale e certe espressioni verbali con cui egli vuole trasmetterci i messaggi che sono il risultato di una attività psichica connaturata in lui in quel momento.

Non potrò qui analizzare tutti i messaggi che il soggetto può inviare, cercherò tuttavia di rilevarne alcuni che possono fissare il valore intrinseco dell’apprendere, anche e in specie, da chi è reputato incapace di insegnare. Lui parla a noi e noi dobbiamo sapere apprendere dal suo linguaggio ogni informazione conscia e inconscia, ogni espressione dell’immagine che ha di se stesso, del modo in cui si percepisce e valuta se stesso. Si tratta di penetrare ogni fatto psichico per comprendere l’esistenza di questi messaggi, anche di quelli che finora possono essere stati ritenuti troppo modesti o addirittura insignificanti per essere presi in considerazione. È dall’analisi di tutti questi bisogni con cui il soggetto cerca di farsi capire che noi dovremo e potremo agire. Vediamone alcuni: sensazioni, ad esempio, di languidezza o di sete con conseguente senso di debolezza e di irritazione, banali sensazioni si bisogno, ma che possono essere derivate da un rifiuto del loro soddisfacimento, teso ad evitare una frustrazione o un parziale insuccesso, sgradevoli sensazioni interocettive che possono alterare i ritmi e con essi l’intonazione nervosa; un altro esempio può essere fatto sullo stato di pienezza e di gonfiore con conseguente irrequietezza, perdita di agilità nelle membra, ecc. Una pienezza che può derivare da difficoltà di carattere relazionale-affettivo o per effetto osmotico negativo a causa di una situazione che ha traumatizzato il soggetto, oppure può essere dovuta a carenzialità di apnea e alla inefficiente spinta addominale utile alla defecazione.

Apnea, defecazione, languidezza… Molti fra coloro i quali sono chiamati all’educazione del soggetto, purtroppo, nel leggere questi riferimenti, quasi certamente, si saranno schermati dicendo che «non spetta a me apprendere da tali linguaggi»: una affermazione che fa gran torto all’handicappato il quale deve trovare risposte dalle persone alle quali riferisce il messaggio, indipendentemente dal loro ruolo di insegnante, professore o personale d’ordine, altrimenti sarebbe come se un professore che sta insegnando si sentisse  dire da un allievo: “Aspetti, per questo argomento le mando un amico!”.

Continuo con dei flash sui linguaggi da decodificare e la lezione da apprendere. Il soggetto che parla a noi dichiarando un eloquio difficoltoso, indisponibilità dialogo-corporea, manifestazioni di dolore per cattiva digestione, difficoltà trituratoria e macinatoria del cibo con fuoriuscita di questo dalla bocca, protrae la masticazione per lungo tempo, poppa anziché bere, cerca indubitabilmente di farci capire l’esistenza di una sua ipomobilità linguale o ipotonia dei muscoli facciali, o una scarsa organizzazione ritmo-respiratoria.

Un soggetto può mostrarsi ipercinetico, di lui si dice che è turbolento, aggressivo, «un soggetto che disturba», è «disattento», e così via, e magari queste formulazioni sono adottate da quegli stessi educatori che ripetono fino alla nausea che «i soggetti handicappati non si possono etichettare». Questo è un reale modo di etichettare, assai peggiore di quello che definisce un danno o una malattia poiché del soggetto si etichetta quell’unico linguaggio che ha per esprimersi e di questo se ne parla in maniera denigrativa. L’handicappato, con il suo atteggiamento, vuole far capire a noi il suo vivere uno stato di crisi per avere preso coscienza delle sue difficoltà, e di non accettarle, può riferirci che si è disorganizzato a seguito dell’assenza dell’insegnante titolare, un’assenza che in tal caso intralcia il rendimento con danni sul piano caratteriale ed intellettuale. Il messaggio che ci invia può essere ancora più incisivo se questa sua tensione psiconervosa è sostenuta da una alterazione pneumografica o se produce in lui l’impulso a rodersi le unghie, a titillarsi i capelli, ecc. Troviamo soggetti che vogliono apparire dei «duri», specie nell’età pre-adolescenziale e adolescenziale, essi si mostrano in tensione, in contrazione, il petto in avanti, le spalle alte, una muscolatura rigida, tesa e non armoniosamente sviluppata. Sono violenti ma al tempo stesso anche ingenui, una maschera con la quale comunicano la loro fragilità. Di un soggetto che manifesta una caduta nella motivazione ad apprendere si dice che è svogliato, con scarsa faticabilità, distratto e non si cerca di leggere i suoi messaggi che tendono ad indirizzarci sui tipi di risonanza psichica e fisiologica che ha nei confronti dei fenomeni o stimoli che gli pervengono, risonanza che si muove sull’asse dell’euforia/malinconia. Egli può mostrarsi incapace di attenzione, con iperattività, disinteresse, aggressività, tics, ed inoltre pallore, rossore, essudorazione, anomalie del funzionamento dei diversi organi: tachicardia, alterazione nelle risposte pneumografiche, vertigini e turbe digestive, alito cattivo, perdita di flusso mestruale, perdita di appetito, turbe del sonno. I messaggi da apprendere sono molti, basterebbe soffermarsi sulle turbe del sonno, su come avviene l’addormentamento, sulla lunghezza del ciclo del sonno, sulle paure e i risvegli improvvisi, la vastità dell’essudorazione, il sonnambulismo, ecc. o sempre durante il sonno, sulle posizioni che assume e che ben rispecchiano sicurezza o insicurezza nell’occupare quel territorio durante il vivere notturno.

Le materie di studio per un valido apprendimento di ciò che l’handicappato insegna sono molte.

Un soggetto lo vediamo allontanarsi, nonostante la stagione fredda, con il cappotto sotto braccio o camminare con scarpe slacciate o con la cartella da portarsi sulle spalle tenuta in mano, e questo può stare a significare volerci dire che esiste una insufficienza nei fabbisogni della vita quotidiana, oppure volere dire che ha un impaccio motorio, una incapacità nello stringimento, una insufficiente motilità delle dita e così via.

Un soggetto si mette sempre le dita nelle fosse nasali ed ha le maniche sporche di muco: in questo caso, non vuoi significare forse che esiste in lui una incapacità nel soffiarsi il naso? E forse derivata da insufficienza nell’alternanza bocca/naso e viceversa? Un insegnamento che ci perviene e che potrebbe dare spiegazione del suo basso tono fonetico e della sua scorretta espressione fonetica.

Un soggetto può mostrarsi rigido nella tonicità corporea e perciò non essere abile nell’equilibrio statico e dinamico, disabile nel gioco e così via; una rigidezza e una goffaggine legate ad un timore panico dovuto a continui insuccessi.

Un soggetto si può sentire collocato in un mondo che lo spaventa e perciò essere sofferente di un raptus ansioso che sterilizza ogni acquisizione; ha mancanza di dinamismo vitale e perciò facile a stancarsi, senza iniziative personali e con un ritardo nell’esecuzione; un soggetto che mostra, insomma, un abbassamento di efficienza e che può inoltre, ad esempio, mostrare erentofobia o apatia, avere una caduta della frequenza ritmo-respiratoria con necessità di frequenti inspirazioni di aria.

Possiamo trovare soggetti che nel momento della loro rappresentazione pitto-grafo-figurativa, esemplificano a noi la loro lezione attraverso difficoltà nei movimenti, sincinesi, inadeguati processi ideo-motori-visivi, spaziali e temporali, disabilità nell’uso dello strumento tracciante per disequilibrio del tono muscolare, carenza nello spostamento sentito e guidato dal corpo, deficienze strumentali che a loro volta possono essere causate da disarmonie nel quadro della personalità, in tal caso il soggetto può essere inibito, introverso, con mancanza del senso della realtà, infantilismo, immaturità, ansia, indecisione, può sentirsi oppresso, in conflitto fra ciò che è e il bisogno di farsi valere, vive quindi in uno stato di disequilibrio psichico che ben si riflette quella rappresentazione pitto-grafo-figurativa già a partire dal punto «io», allontanandosi sempre di più dal modello per una impossibilità o ritardo nell’esecuzione e realizzazione grafo-simbolica. La mancanza di un dinamismo vitale per sofferenti turbe affettive, l’essere inquieti, incerti, sentirsi autoinsufficienti, con un sentimento di svalorizzazione, timorosi, resi inattivi e disinteressati, fanno si che nel soggetto si realizzi un infantilismo della persona e del pensiero e venga provocato un arresto mentale. A tutto questo si sommano altre discipline di insegnamento utili al nostro apprendere, ad esempio il soggetto può manifestare incertezza e difficoltà a conoscere le lettere, in tal caso si possono annotare le improprietà gnosico-prassiche, audio-visive e visuo-cinestetiche, difficoltà ad orientare lo sguardo e la sua direzionalità, dispersione dello sguardo e difficoltà di analisi, affaticamento, disattenzione e insufficienza mnestiche.

Le cose che dovrei analizzare sarebbero tante, basterebbe interessarsi a fondo della grammatica dei messaggi visivi e uditivi, una lezione anch’essa assai importante per ciò che possiamo apprendere dall’handicappato. Accennando all’udito mi viene d’emblée, fatto di pensare al linguaggio dei suoni e dei rumori attraverso i quali il soggetto handicappato invia messaggi perché siano appresi e compresi. Sono

molti gli stimoli acustici che possono comunicare lo stato di salute psico-fisica di un soggetto, per questo basti pensare alla noia o al disagio resi noti attraverso il raschiamento fonatorio e al volere richiamare la simpatia da parte degli altri con il tossire; anche il pianto può essere usato per la ricerca di simpatia, anche se rimane generalmente un sintomo di depressione. Altri suoni e rumori possono essere prodotti inoltre dai piedi battuti sul pavimento per dimostrare note di rabbia, e potrei continuare.

È ovvio che in questa breve analisi non può mancare l’apporto di una spiegazione desunta dalla comunicazione verbale, dalla quale è sempre ampio il nostro apprendere. A questo proposito suggerimenti ci pervengono da tutti quei disturbi nell’eloquio causati da alterazioni di organi e funzioni e da disturbi della personalità. Tra questi ultimi i lapsus, le omissioni, addizioni, sostituzioni, trasposizioni,

contrazioni, frammentazioni, siano essi di suoni singoli, di sillabe e di parole, per il verificarsi di un raptus di ansietà da conflitto psichico che induce a parlare magari con troppa precipitazione. Possono essere presenti inoltre le anomalie di accento, di intonazione di anomalie nelle pause, come è nel caso dei balbuzienti i quali vivono una tensione psichica che gli fa perdere il controllo di sé e del loro rappresentarsi verbalmente agli altri.

Dall’handicappato possiamo inoltre apprendere, attraverso le diverse intensità della voce, la selezione delle espressioni verbali e, attraverso i mutamenti di registro, la sua instabilità, così come attraverso l’esame delle embulofrasie — esempio: buh — si può apprendere la esistenza di indecisione e di impaccio, e attraverso una decodificazione dell’irregolarità del ritmo l’esistenza di rievocazioni dolorose, la nota depressiva o i sentimenti spiacevoli che scaturiscono dalla narrazione. Riferendomi ora più strettamente al corpo del soggetto stralcio altri, credo, significativi insegnamenti. La mano del soggetto, ad esempio: dobbiamo tener conto che ci guida con sapienza al l’apprendimento attraverso lo stato essudorativo; mani che aiutano a fissare un contatto o un dialogo o che lo impediscono, impedendo così un processo di interazione, di adattamento socio-culturale. La mano e le dita sono penisole terminali del corpo umano e possono essere più o meno espressive, più o meno frenanti i rapporti con gli altri. Il corpo umano per come si muove ritmicamente e per la gestualità e la padronanza è capace di argomentare l’immaturità e l’ipodotazione, il danno cerebrale, l’insufficienza mentale, la regressione, i quadri di patologia disprattica, ecc., quindi è capace di porre in evidenza la personalità, la maturità l’intelligenza. L’individuo si muove nello spazio e trasmette messaggi che dobbiamo sapere leggere, in ciò ben si inserisce quindi anche lo studio sull’edonica olfattoria, sulla prossemica, il mimo e la gestualità, il contatto e l’eco posturale. Molti sono i segnali con cui il soggetto offre una rappresentazione di sé, lui parla a noi ad esempio con l’erezione dei peli, la pelle d’oca e il pallore prodotti della paura, con il colorito rosso e chiazzato che è proprio dell’ira, con il feticismo dei capelli e delle ciglia e l’uso di strapparsele che è proprio di certe psicopatologie.

L’handicappato comunica il suo essere e il suo esistere, le sue necessità a mezzo di cinemi, di esibizioni fisiognomiche, di linguaggi testimoni: a noi spetta lo sforzo per decifrarli, per poter apprendere la sua lezione.

In Rivista Esistenza 1/1984

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