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MANUELA BALDESCHI

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Frequentando il corso per conseguire il titolo polivalente di insegnante di sostegno, nel settore della minorazione visiva sono rimasta abbastanza colpi¬ta dalla filosofia che guida l’educatore e l’insegnante specie sul terreno della educazione del tatto e del¬la mano. In particolare ha destato il mio interesse il ruolo che si affida alla mano come organo privilegiato del tat¬to, nella funzione prassica, conoscitiva e nella fun¬zione di controllo e verifica delle azioni che si com¬piono. II tatto e la mano acquistano a mio avviso un significato ambivalente: da un lato infatti sono meno precisi dell’occhio e quindi occupano un ruo¬lo di second’ordine nel processo conoscitivo in sen¬so lato; d’altro lato notai subito la peculiarità del percorso che conduce dalla sensazione, alla per-cezione dei singolo frammento di oggetto, fino alla costruzione mentale di esso, nella sua integrità, os¬sia non come somma di percezioni, così come ognuno di noi non è soltanto l’insieme di capelli, trat¬ti somatici, voce, fisionomia, ma appunto una per¬sona unica ed non divisibile. Questa modalità, per cui si arriva ad interiorizzare il reale seguendo un itinerario alternativo rispetto a quello consueto, questo procedere per indizi, ordi¬nando dei frammenti, facendo spesso ricorso alla immaginazione, alla conoscenza delle leggi che re¬golano il flusso degli eventi e il costituirsi degli og¬getti, questa continua disposizione a dedurre da un indizio, ad inferire dal particolare il generale, a tra¬sferire elementi percettivi da un piano del reale al¬l’altro, mi ha ricordato molto da vicino gli studi compiuti e la mia passione per l’archeologia. Ben spesso infatti l’archeologo, anche se solo per hobby, ha da ricostruire mentalmente un oggetto, un contesto culturale, un rito, ecc. sulla base di un so¬lo frammento e quindi deve indossare una sorta di microscopio culturale, ed ingrandire ogni partico¬lare, ponendosi in atteggiamento di ascolto e di ri¬flessione, per cogliere le evocazioni, le connessioni, risonanze, associazioni e contrasti tra quel frammento e quanto lui già sa di una certa cultura, per inte¬grare il quadro cime già possiede, arricchendolo o magari ponendolo in discussione. Anche per quel che riguarda i principi di una scuola attiva, di un insegnamento concreto, l’indicazione di «imparare facendo », collocando al centro dell’insegnamento non tanto il momento ricettivo, quan¬to il processo di costruzione, o meglio di ricostru¬zione e di elaborazione dinamica del reale, ha messo in risonanza per così dire alcuni atteggia¬menti ed abitudini mentali che ho contratto lungo il cammino dell’insegnamento, sostenuta in ciò dal¬l’essere io scultrice. Ho richiamato spontaneamente alla mente gli anni del’accademia, allorché la mano sosteneva, confermava, precisava l’esperienza visiva; ho riflettuto un attimo su alcuni dei processi che conducono al¬la riproduzione dal vero o alla produzione scultorea in particolare: immaginare al di là delle apparenze, cosa può nascondersi dentro un cubo di materia, cosa può venir fuori mettendo insieme delle mattonelle di creta. In questo modo ho avuto la precisa sensazione che valesse la pena rivaluta¬re ciò che solitamente appare come marginale, nel nostro caso l’uso della mano in luogo dell’occhio per conoscere, ma anche l’uso didattico della co¬struzione e della ricostruzione del reale per impadronirsi di alcuni prodotti della storia dell’architet¬tura. La possibilità di svolgere il tirocinio diretto in una prima media con un soggetto non vedente mi ha fornito una occasione più unica che rara: coniuga¬re le mie inclinazioni ai modellaggio, te mie conoscenze in materia di archeologia e di storia dell’arte e il mio obiettivo professionale con le esigenze di¬dattiche ed educative di un ragazzo non vedente, considerato si come allievo che apprende, ma an¬che come un soggetto che sta percorrendo il suo personale processo di integrazione nella comunità scolastica; e integrazione è in primo luogo adattamento reciproco, tra il corpo sociale e il soggetto che deve integrarsi, integrazione equivale alla pos¬sibilità di mettere in comune dei valori, con recipro¬co giovamento. A me parve che la presenza di un ragazzo non vedente potesse fornire una ottima oc-casione per porre in primo piano l’uso di modellini da un lato, e d’altro lato la possibilità data a tutti i ragazzi di ricostruirli, singolarmente o in gruppo, In tal modo tutta la scolaresca si sarebbe/avrebbe spe¬rimentato la gioia di materializzare una immagine mentale, di assimilare quel contenuto didattico interagendo con l’oggetto, sotto la guida dall’insegnante; queste modalità di approccio, praticamente indispensabili per il ragazzo non variante, avrebbe¬ro costituito inoltre un ottimo medium per l’attiva¬zione di una interazione sociale, sarebbero state occasioni propizie per costruire situazioni in classe nelle quali anche il ragazzo non vedente potesse assumere ruoli guida, o comunque ruoli di primo piano, attivi. È noto infatti che nella maggior parte dei casi vi è la tendenza a relegare il bambino non vedente a ruoli di gregario, e passivi. Inoltre, giusta i Nuovi Programmi della Media, da considerarsi in organico rapporto di continuità con quelli della Elementare, l’Educazione Artistica, ol¬tre che come corpus a se stante di nozioni, strumenti di lettura e di fruizione estetica, viene posta alla confluenza tra varie aree e discipline, quali la storia, la geografia, la geometria,e l’aritmetica, lo studio del¬le tecnologie e dei materiali, ecc. Nel periodo di tirocinio la programmazione didatti¬ca prevedeva lo studio delle principali manifestazioni dell’arte preistorica, greca ed etrusca. D’ac¬cordo con i colleghi e con i docenti dei corso ho prodotto, ed allegato alla tesi finale, alcuni modelli¬ni, come la prima struttura architravata, t’urna cineraria, la tomba ipogea, il tempio greco ed altri; tali modellini sono stati associati a mappe tattili. Per la realizzazione dei modellini ho tenuto conto di criteri quali: stabilità, maneggevolezza, realizza¬zione di materiale evocativo sia per il tatto che per la vista (usando superfici e trame diverse oltre che vari colori); possibilità di esplorazione autonoma; possibilità di ricostruzione anche da parte dei ra¬gazzo non vedente senza ricorrere all’aiuto di ter¬ze persone; infine rispetto per quanto possibile dei reali rapporti di proporzione. Le mappe sono state realizzate con la tecnica della termoformatura ed hanno avuto una duplice funzio¬ne: quella di schematizzare in forma bidimensionale ciò che il non vedente conosce nelle tre dimensio¬ni; d’altro iato hanno favorito la comprensione della genesi di alcuni simboli convenzionali in uso pres¬so noi vedenti, come la rappresentazione classica della casa. Sotto questo aspetto l’allievo non vedente ha potuto comprendere come si passa, in alcuni casi, dall’oggetto tridimensionale reale, in propor¬zioni naturali, alla sua rappresentazione in scala in forma di modellino, alla successiva simbolizzazione in forma di schema bidimensionale. I modellini e le mappe sono stati offerti alla classe contestualmente con le spiegazioni, e il C.R.O., in collaborazione con la Scuola Media di Rufina ha realizzato un filmato didattico; l’attività didattica pre¬vedeva alcuni giochi di smontaggio e di montag¬gio, nell’ambito dei quali il ragazzo non vedente ha assunto il ruolo di assistente dell’architetto. Mi piace citare due episodi a mio avviso indicativi del¬l’impatto che può avere questo tipo di metodolo¬gia didattica sulla socializzazione e sullo sviluppo immaginative e perciò sull’arricchimento del patri¬monio di conoscenze del soggetto non vedente. Durante la esplorazione tattile della struttura architravata ho chiesto al ragazzo se conoscesse qual¬che esempio di architrave nella vita di tutti i giorni; alla sua risposta negativa, l’ho accompagnato ad esplorare la struttura della porta dell’aula (eravamo nell’intervallo); ho utilizzato un bastone ed uno sca¬leo per la visione diretta. Non deve meravigliare fatti, e lo confermavano i docenti del corso, se il ragazzo o l’adolescente non vedente parla con proprietà di linguaggio di molti oggetti, eventi o altro, senza in realtà averne interiorizzato gli aspetti sa¬lienti, la forma, la struttura., le dimensioni, ad esem¬pio. Sicuramente quel giorno l’allievo che seguivo in tirocinio ha interiorizzare la struttura di un ogget¬to già molto familiare. Durante la ricostruzione del Tempio Greco uno dei « carpentieri » aveva collocato nell’ordine inverso il fregio e l’architrave. L’« assistente dell’architetto » lo ha colto in fallo e ne è nata una situazione diver¬tente e positiva sia sotto il profilo didattico che sotto quello della socializzazione. In quella occasione il ragazzo non vedente[/pt_text]

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assumeva un ruolo guida ed ha potuto verificare che non sempre la minorazio­ne sensoriale comporta una prestazione inferiore.

Viceversa per la classe questa è stata una occasio­ne per costruire una immagine del compagno han­dicappato che tiene conto anche delle potenzialità e che comprende la possibilità di raggiungere de­terminati obiettivi comuni seguendo strade diverse.

Resta la curiosità di approfondire la ricerca sulla possibilità di ipotizzare forme d’arte che facciano appello non solo ai sensi tradizionali, vista ed udi­to, ma che, attraverso il canale tattile, l’esplorazio­ne aptica quindi, possano sollecitare la sensibilità estetica del fruitore, conducendolo alla esperienza del bello che, in sé, prescinde dal sentiero che vi conduce.

Da  Rivista L’insegnante specializzato, 2/90

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