Il termine metodo, dal greco méthodos (“inseguire”, “andare dietro”), è l’insieme dei procedimenti messi in atto per ottenere uno scopo o determinati risultati. Il metodo pedagogico (dal greco méthodos paidagogikos), è quel piano relativo ad una certa attività di pensiero e di azione da compiere con un determinato ordine, una sequenza di operazioni che consente di raggiungere l’obiettivo prefissato.
Per quanto riguarda l’aiuto alla persona, il metodo consente di procedere verso la conquista di un rinnovato equilibrio, di nuove abilità e disponibilità.
Per metodo si intende, quindi, una continuità di procedimenti e atti successivi in conformità e convenienza − fra gli atti e il fine −, che coincide con lo sviluppo della persona in aiuto della quale esso viene impiegato. Una pedagogia condotta con metodo diviene scienza in tutta l’estensione del suo principio essenziale e nella molteplicità dei suoi aspetti e delle relazioni umane che instaura.
Un’incoerenza ancora marcatamente presente in merito è dovuta a quanti da pedagogisti (?) sono più disposti a declamare la “missione” anziché assumere consapevolezza dell’azione educativa del metodo, escludendo dalla competenza tecnica una professione e con essa la figurazione di un’abilità di esperto e confinando il pedagogista nelle categorie del personale generico.
Costoro, preoccupati degli effetti di una conversione della considerazione teoretica in considerazione pratica e di perdere di vista il contenuto universale e perciò “filosofico” del sapere pedagogico, da idealisti, hanno incrostato e ritardato, ammantandosi di parole, ogni formazione utile ad una professione, osteggiando le ricerche di ispirazione sperimentale che avrebbero invece potuto favorire la riuscita e la validazione di nuovi metodi. Un’ostilità che si sostanzia delle superiori ragioni della filosofia − nobili ma ingenue pretese perché non tradotte in prassi operativa −, con cui intendono nascondere il loro atteggiamento generale verso la nuova pedagogia. A proposito il De Bartolomeis scrive: Mettendo a fronte lo sviluppo scientifico della pedagogia contemporanea e le argomentazioni dei tradizionalisti si nota una tale distanza che si sarebbe tentati di parlare di pura e semplice ignoranza di chi a queste argomentazioni continua a rivolgersi se non temessimo di apparire troppo sbrigativi. Ma certamente l’ignoranza vi ha la sua parte e non piccola (De Bartolomeis, 1963, pp. 43-44).
La polemica contro i metodi, condotta con anacronismo idealistico dagli oppositori del metodo, sostenitori di critiche infondate che naufragano nelle contraddizioni, è riuscita fino ad oggi a frenare la ricerca. La crisi del pedagogista che ne è conseguita lo vede perseguire un’educazione avvolta da meri criteri di accoglienza e di ascolto o, peggio, utilizzare metodi e strumentari che sono di altri professionisti perché non ne ha di propri e, nell’usarli, parlare di rieducazione e di riabilitazione come nel lessico delle professioni sanitarie.
Per i pedagogisti dunque l’esigenza di strutturare metodi propri si fa sentire con urgenza; lo stesso non può dirsi per la Pedagogia Clinica, che sollecitata dalla necessità di una preparazione metodologica, senza indulgere, da quaranta anni si è mossa e, sulla base di esperienze concrete, ha sperimentato i metodi necessari per dare vita ad una proficua azione educativa.
Il Pedagogista Clinico® nell’affrontare i compiti educativi non impiega i metodi con applicazione meccanica, bensì li sviluppa con un’attività di organizzazione e di liberazione delle energie, con sforzo inventivo, con cui amplia o restringe l’orizzonte di esperienze della persona al più alto grado possibile delle sue attitudini. Quella pedagogico clinica è quindi un’educazione che è un fatto di creazione e non di impiego automatico di norme e di regole secondo un procedimento prestabilito, essa chiede la scelta dei mezzi, la qualità del processo e dei risultati educativi, con il merito di conseguire un’educazione efficace raggiunta con una pratica metodologica non cristallizzata in routine.