Fondamento del pensiero eclettico in psicanalisi è l’idea che nessun sistema psicanalitico è completamente falso, e neppure tutto quanto vero. Il migliore e più logico programma dell’eclettismo secondo Leibniz è del resto “estrarre da tutti i sistemi una certa qual filosofia eterna, stabile e progressiva ad un tempo”, oppure parafrasando Cousin, l’eclettismo è la sintesi, non di quelle cose che nei sistemi si escludono, ma di quelle che si completano, perché ogni sistema non è del tutto falso, ma incompleto. Poiché anche in psicanalisi si ritiene che i sistemi siano incompleti, riunendoli, si avrà una psicanalisi completa, adeguata alla totalità della coscienza e della scienza psicanalitica. Possiamo anche dire che l’uomo non può raggiungere, in molti casi, la certezza incondizionata della scienza, ma può conseguire la chiarezza, l’evidenza di una convinzione soddisfacente. Una delle maggiori debolezze della mente umana, dice Alexander, consiste in un genere di pigrizia, nella passione di trovare soluzioni aut/aut e di spiegare tutto sulla base di un singolo principio piuttosto che prendere in considerazione la molteplicità dei fattori nelle loro interrelazioni. Nonostante l’esasperante diversità sia teorica che pratica fra scuole, indipendenti, con propri sistemi teorici e propri metodi, riteniamo che il trattamento psicanalitico debba muoversi su quegli elementi comuni che legano questi distinti sistemi e tecniche e che si rappresentano in quell’unica corrente umanistica e terapeutica qual è la psicanalisi eclettica. È del resto questa diversità nell’ambito dell’unità, ossia l’unità sottostante malgrado la diversità, che dà prova della vitalità della psicanalisi eclettica, vitalità che occorre per incidere maggiormente nel tessuto sociale in cui operiamo, e dimostrare che psicanalisi significa dinamismo, antidogmatismo, efficienza, competenza e soprattutto concretezza. Uscire dalla sfera del particolare, quindi, e diventare un insieme; un’unità risultante da una molteplicità di idee che si fondono armoniosamente per trasformarsi in positive azioni terapeutiche. La psicanalisi eclettica deve porsi il compito di enucleare il frammento vero contenuto in ogni sistema per integrarlo con le verità che si trovano in ciascuno. Occorre scegliere nelle dottrine delle varie scuole gli elementi che si prestano ad essere conciliati e fusi in un corpo unico; ma poiché la scelta di questi elementi suppone un criterio, si deve giungere ad assumere come criterio l’accordo comune su certi aspetti e verità fondamentali, ammesse come sussistenti nell’uomo indipendentemente e prima di ogni ricerca. La psicanalisi eclettica ritiene utile e necessario elaborare “ciò che il buon senso intuisce”; questa prende le mosse dell’esperienza, non solo dall’esperienza sensibile, bensì dall’esperienza interna: le verità eterne, i valori assoluti che ci sono attestati dalla coscienza, la quale, come rivela noi a noi stessi, mostrandoci le nostre facoltà (sensibilità, volontà, intelligenza, ecc.) così si rivela all’assoluto. Ogni essere si riconosce per i suoi attributi, ogni causa per i suoi effetti. Noi non saremo nulla per noi stessi senza le nostre facoltà e la co-scienza che ce le attesta. Sempre più si constata che, nella sua pratica, lo psicanalista non può utilizzare solo un metodo, ma deve confrontarsi, in seguito alle modificazioni della società e alla comprensione differente del fatto morboso, con l’insieme dei fattori bio-socio-psicologici. È l’analista che deve tendere all’accordo filtrando, attraverso se stesso e secondo chi ha di fronte, le varie teorie e tecniche analitiche. Nessuna teoria e tecnica viene ritenuta valida ed adeguata in assoluto, ma ciascuna valutata in vista degli obiettivi che si vogliono raggiungere nella specifica situazione. In altre parole ogni “caso” richiede la individuazione della metodica di intervento più adeguata, senza operare delle scelte pregiudiziali e fideistiche a favore di una piuttosto che di un’altra teoria o scuola, evitando contemporaneamente un troppo facile “eclettismo”, ma meglio sarebbe dire sincretismo, che sfoci in un miscuglio di livelli teorici epistemologici e applicativi diversi e che già in passato aveva imposto all’eclettismo quella posizione isolata ed eccentrica a lungo assegnatagli nel complesso dei vari sistemi psicologici; conciliazione di tesi diverse e anche contrarie che lo psicanalista raggiunge subordinandole a un principio superiore. È sempre più chiaro come il successo dell’attività terapeutica non può essere legato ad un procedimento standard o dogmatico, anche se rigorosamente qualitativo di formazione professionale. L’opportunità di una politica esclusiva, preminenziale, in favore di una certa tecnica terapeutica è oziosa. Difendersi ancora, chiudendosi dentro l’ortodossia contro tutte le evidenze è chiaramente una difesa acritica dei pretesi diritti acquisiti, dei campi di potere e dei valori gerarchici desiderati, una maniera fortemente regredita di vuota autogratificazione. È utile ormai una iniziativa inter-analitica fondata sulla verifica clinica delle varie tecniche terapeutiche in linea teorica equivalenti e legate ad una opportuna utilizzazione terapeutica. All’interno della psicanalisi come terapia crediamo che essere eclettici significhi del resto conoscere sufficientemente bene più tecniche psicanalitiche e psicoterapeutiche, di questo abbiamo degli esempi di colleghi che esercitano tale esperienza con successo e soddisfazione senza sentire conflitti interiori tra modelli qualche volta opposti. In realtà essi utilizzano, secondo l’attività del momento, il metodo che conviene. Una volta realizzata l’integrazione delle tecniche, quindi, la formazione dello psicanalista deve situarsi al di là delle loro costrizioni. Siamo infatti convinti che tra poco vedremo scomparire le scuole analitiche come entità separate. Sebbene l’analisi personale continuerà a costituire una parte importante del “training” per coloro che desiderano specializzarsi in psicanalisi, le etichette di “freudiano”, “junghiano”, “adleriano”, ecc., diventeranno sempre meno importanti man mano che la ricerca rivelerà i fattori comuni che conducono a buon esito un trattamento psicanalitico, il quale, a parer nostro, è largamente indipendente dalla scuola a cui appartiene lo psicanalista. In altri termini la tecnica non può essere che un quadro, l’edificazione di una armatura, l’espressione strutturale di un trattamento, ma il buon tecnico è colui che sa superare la tecnica utilizzata per immaginarne un’altra che lo metta alla prova della critica. Questa condizione utile nel campo delle scienze esatte e biologiche è pur indispensabile nella pratica psicanalitica. Se uno psicanalista pensa di conoscere tutte le sfaccettature della tecnica che utilizza e che di questa può fidarsi acriticamente, si sbaglia di grosso, perché, così facendo, la zona della sua libertà d’azione viene ad essere limitata a tal punto da impedire la sua autenticità di terapeuta. Riteniamo quindi opportuno ribadire che uno psicanalista, che presta le sue cure ad una certa popolazione, deve disporre di vaste conoscenze circa i metodi di trattamento, avere chiarito i fondamenti teorici di questi metodi, conoscerne gli inconvenienti e l’eventuale nocività. Su questi orientamenti si muove la psicanalisi eclettica intorno alla quale si stanno raccogliendo quegli psicanalisti che vogliono fondere il sapere con il potere poiché sentono l’esigenza di offrire un valido contributo psicoterapico. Se esiste infatti una certa unità di dottrine tra gli appartenenti all’A.I.P.E., occorre anche rilevare che c’è qualcosa che ci differenzia e talvolta perfino ci rende divergenti, ma forse è proprio questo che ci mantiene uniti nella discussione e nel raggiungimento di una pratica psicanalitica costruttiva.