LOREDANA AMICO
[/pt_text]Negli ultimi anni, in ambito psicologico, si tende sempre più a considerare la separazione coniugale, come un processo che cambia le forme delle interazioni all’interno del sistema familiare. È un evento, che alterando inevitabilmente la fitta e complessa rete delle relazioni familiari, implica una sostanziale ridefinizione di ruoli e funzioni. Tale processo rappresenta comunque il punto di partenza di una nuova fase evolutiva della famiglia, di una ristrutturazione nel tempo del sistema genitori-figlio/i, in un sistema monogenitoriale: il sano sviluppo psicologico del minore è certamente connesso con la sua riuscita, con la felice rinegoziazione di nuovi equilibri funzionali, strutturali, interattivi. Con il termine « processo di adattamento alla disgregazione familiari » G. Gulotta e G. Santi (1988) definiscono il « corso più o meno prevedibile delle reazioni emotive, degli stati psichici e dei relativi comportamenti che vengono manifestati dai membri della coppia in fase di separazione ».
Esso comprende quattro momenti:
1) Fase antecedente la determinazione dei coniugi di separarsi
È caratterizzata da sentimenti di malcontento e insoddisfazione, da tentativi di riconciliazione per salvare l’unione coniugale. I momenti di intimità della coppia divengono sempre più rari e i conflitti sempre più palesi, anche al di fuori delle mura domestiche. La durata di questa fase è variabile, talvolta la coppia si arresta al presente livello, cronicizzando problemi e ostilità. Raramente le parti riconoscono e comprendono l’importanza di questo stadio nel momento in cui lo stanno vivendo, sebbene retrospettivamente si riesca ad individuare l’istante in cui la possibilità della separazione diviene sempre più una realtà. J. Federico (1979) definisce questo istante « punto coniugale di non ritorno ».
2) Fase decisionale
In tale fase, uno dei due coniugi, o entrambi contemporaneamente, assumono la risoluzione della separazione, spesso con un sentimento di sollievo per essersi liberati di un assillante problema. Di frequente è presente una forte angoscia per l’incertezza del futuro, e, a causa dell’ansia, i partners possono aggrapparsi vicendevolmente in disperati tentativi di riconciliazione. Il loro fallimento, rende ineluttabile l’idea della separazione, per cui vengono contattati gli avvocati e iniziano le ostilità inerenti l’affidamento dei figli e gli aspetti economici.
3) Fase depressiva o di transizione
È caratterizzata generalmente da un senso di sfiducia in se stessi, di solitudine e di auto-rimprovero, per quanto è accaduto. Spesso i coniugi, almeno temporaneamente, sembrano incapaci di prendersi adeguatamente cura del figlioli. Ciascun partner nutre inoltre degli intensi sentimenti di rancore e di rabbia nei confronti dell’altro. Tutto ciò è indice però del superamento del « lutto »: ci si avvicina cioè ad una fase di maggiore stabilità psichica, in cui i coniugi tendono ad acquistare un più equilibrato senso della realtà circa il loro matrimonio, riconoscendo sia i momenti validi e piacevoli, sia quelli tristi e negativi.
4) Fase stabilizzatrice
Si contraddistingue per le scelte compiute in modo autonomo e indipendente: vengono adottati stili di vita differenti, ed una più razionale percezione della realtà. Poche persone sono consapevoli del processo di cambiamento che sta avvenendo in loro, tuttavia come nel processo decisionale descritto in precedenza, esse sono in grado retrospettivamente di identificarne il punto di cambiamento: aumentando la consapevolezza, aumentando di riflesso le possibilità di significativi momenti di crescita psicologica, che implica, tra l’altro, l’abbandono di sentimenti ostili e di desideri di vendetta nei confronti dell’ex-coniuge.
Il processo di separazione, segna certamente un periodo di crisi profonda per le parti coinvolte. Parlare di crisi nel momento in cui possono essere recuperati spazi psicologici e in cui si può cominciare a gestire la propria vita autonomamente, può sembrare paradossale. In realtà, ogni cambiamento di situazione interpersonale è, di per sé, ansiogeno, perché implica la perdita di punti di riferimento a cui la persona era abituata, e che, pur limitando l’espressione del suo sé, ne precisavano i confini. La tolleranza di questo cambiamento, è in rapporto alla possibilità che l’individuo ha di progettarsi in situazioni sentite come nuove, di non aver perduto il senso di esistere, anche senza far riferimento ad altri. L’individuo ha dunque bisogno di percepire dentro di sé un continuum, che rimanga inalterato attraverso il mutare degli eventi, un nucleo centrale originario dell’organizzazione interna della persona, un’identità insomma (R.D. Laing, 1977).
In caso contrario la fine della convivenza, diventa perdita dell’altro come figura che conferma la propria esistenza e quindi perdita del sé. Quando i genitori, con la separazione, non riescono ad arrivare al divorzio psicologico, e ricercano la loro autostima unicamente e prevalentemente attraverso la squalificazione dell’altro, anche nel suo ruolo di genitore, il figlio ha certamente non poche difficoltà ad uscire da questa situazione critica. Egli si trova infatti in una situazione che spesso non comprende completamente, che non riesce a gestire autonomamente e in cui le relazioni con entrambi i genitori si modificano in maniera profonda. Questi ultimi infatti potrebbero dargli un’interpretazione diversa, se non opposta, di ciò che è accaduto tra loro, disorientandolo, e non consentendogli di giungere ad una valutazione obiettiva di quanto è avvenuto. La situazione diventa ancora più difficile sei genitori continuano a litigare per motivi che lo riguardano, perché egli trova in essa, allora, la conferma alle sue fantasie di essere egli stesso la causa della disgregazione familiare.
Il bambino può sperimentare così ansia e smarrimento, dai quali potrebbe tentare di difendersi con un progressivo distacco emotivo, che spesso comporta peraltro disinteresse per la realtà in genere, difficoltà nell’apprendimento e nei contatti sociali, oltre a comportamenti di fuga, o più raramente di autodistruzione.
Talvolta il bambino « sceglie » un genitore. La sollecitazione a tale scelta è espressa talvolta indirettamente con la denigrazione dell’altro genitore, o con atteggiamenti di delusione o rimprovero se il figlio si interessa a lui, talvolta direttamente, con la richiesta di una netta preferenza e con la colpevolizzazione del bambino se questi tergiversa. Le dinamiche di questa scelta, comportano comunque la rinuncia definitiva a quel nucleo familiare che egli aveva sentito determinante per la sua stessa identità. Di questa perdita può sentirsi diretto responsabile, e, i sensi di colpa che ne derivano possono diventare così intensi, che la possibilità di addossare la responsabilità della propria scelta ad un genitore, può diventare per il bambino un modo per uscire dall’angoscia, così da vivere più serenamente, anche se il maniera distorta, la propria esistenza.
Tutto può apparirgli più semplice se può definire “buono” un genitore, e “cattivo” l’altro, in modo da evitare così la necessità di una nuova verifica, difficile da tollerare, degli atteggiamenti, e delle convinzioni assunte proprio allo scopo di difendersi dall’insicurezza, dalle fantasie di abbandono e di ritorsione dai sensi di colpa.
La sensazione generale, è spesso quella di una guerra, che, in apparenza, finirà con un vinto e un vincitore: al tempo stesso il bambino è spesso consapevole del ruolo determinante che riveste nello scontro, di potere essere importante per un genitore e “potente” nei confronti dell’altro, sensazione che rende ancora più improbabile una valutazione obiettiva della realtà. Sono soprattutto i genitori con uno scarso grado di differenziazione individuale, che hanno « bisogno » del bambino per « imprigionarlo » in un ruolo ben preciso e prefissato, dandogli il senso della indispensabilità, che da un lato può gratificare, mentre dall’altro può diventare per lui controproducente.
Ciò che in realtà dovrebbe essere sempre presente ad entrambi i genitori è che la separazione si cerca, a volte in modo drammatico, di sciogliere il vincolo coniugale: ciò che non si scioglie di certo è però l’essere genitori, psicologici e biologici. È vero che ciascun individuo fa parte contemporaneamente di più sistemi di appartenenza; ciò che è importante è cogliere le differenze tra gli stessi. Il non discriminare tra le diverse appartenenze porta con sé confusione che, a sua volta, esita facilmente in grave sofferenza. Tuttavia la distinzione tra lo sciogliere un vincolo coniugale e il mantenere la responsabilità genitoriale è il frutto di quel travagliato percorso che è il divorzio emotivo-affettivo. Talvolta, anche all’interno di un processo di separazione contrassegnato da distruttività reciproca, anche nelle pieghe di una lotta furiosa, è possibile scorgere tracce di disponibilità, di collaborazione, di non esclusione dell’altro genitore relativamente all’incontro e al rapporto con il figlio. Ciò che importa sopra ogni cosa, è garantire ai figli una continuità « storica », al di là degli scismi e delle fratture nella relazione coniugale. Sono proprio le funzioni genitoriali che, al di là di ogni contrasto, devono comunque essere salvaguardate, se si vuole che il figlio esca il più possibile integro dalla situazione di crisi derivante dalla separazione dei genitori. Egli ha certamente bisogno di essere aiutato da entrambi a superare l’impasse, a ritrovare un nuovo adattamento emotivo e relazionale. Meglio ancora sarebbe prepararlo agli eventi che si verificheranno all’interno del sistema familiare e coniugale, anziché lasciare che lo colgano di sorpresa, attraverso una spiegazione che sia il più possibile aderente alla realtà e al suo livello di sviluppo psicologico, per impedire che al dispiacere e ai timori di abbandono, si aggiunga un ingiusto quanto infondato risentimento. Nell’intervallo tra l’antica e la nuova organizzazione, tra vissuti di perdita ed incerte acquisizioni, tra abbandono di un sogno ed edificazione di un altro, la crescita psicologica del figlio, rischia di essere compromessa soprattutto quando i coniugi, troppo presi dalle loro questioni affettivo-emotive, non si accorgono del suo disagio, non danno ascolto ai suoi problemi, non si avvedono di quei comportamenti con cui il bambino cerca di richiamare su di sé l’attenzione, attraverso i quali tenta di recuperare una propria dimensione psicologica. È importante poi che i genitori non rimpiangano mai, di fronte al figlio, di averlo messo al mondo, così da non indurlo ad immaginare che i genitori, siccome non si amano più tra loro, non amino più « in lui » l’altro genitore.
Il bambino, deve continuare ad avere con entrambi i genitori, relazioni significative, che gli consentano di esprimere i suoi sentimenti, siano essi affettuosi od ostili, così da sentirsi accettato per quello che è.
Certamente, pur essendo il processo di separazione coniugale, un percorso disseminato inevitabilmente da crisi, ostilità, sofferenze, alleanze, collusioni, ogni vicenda ve essere considerata un caso a sé, idiosincratico, che va inquadrato sempre e comunque nell’ambito di uno specifico quadro di dinamiche affettive e relazionali tra gli individui coinvolti, il figlio è però comunque « invischiato » nelle problematiche dei genitori, nelle contraddizioni, negli stalli, nelle trasformazioni che interessano l’intero sistema familiare. Egli è coinvolto infatti in un contesto comunicazionale analogico e digitale, che invia spesso messaggi ambigui e contraddittori. La speranza che tali interferenze possano essere il più possibile contenute, risiede nella capacità dei genitori di gestire adeguatamente il processo di separazione: lo sviluppo equilibrato del figlioli è in stretta connessione con la riuscita del divorzio psicologico, con la felice rinegoziazione di nuovi equilibri, psicologici e relazionali. Perché ciò avvenga, occorre che i « coniugi » siano nuovamente capaci di investire in loro stessi, di recuperare un’ottica più obiettiva e realistica di ciò che è avvenuto tra loro, di perdere i vecchi schemi di riferimento e di acquisirne altri, con i quali leggere diversamente gli eventi. Così facendo, potranno limitare rischi e conseguenze psicologiche per il figlio/i, derivanti dal disconoscimento o dalla disattenzione nei confronti di bisogni, esigenze affettive, richieste di relazione e intimità.
Da Rivista L’insegnante specializzato, 3/94
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