GUIDO PESCI
[/pt_text]Il processo innovativo con cui, a partire dagli anni ’70, si voleva affermato il principio della frequenza scolastica nella scuola comune degli alunni in difficoltà, realizzando così il superamento delle scuole differenziali e delle classi speciali, e perciò il diritto all’inserimento, colse sicuramente di sorpresa la scuola e pose seri problemi organizzativi e programmatici di non facile soluzione.
Le sperimentazioni che seguirono, prima di passare alla generalizzazione dell’ esperienza, furono condotte con impegni economici, notevoli quantità e varietà di sussidi ed ampie possibilità di organico ed ebbero modo di confermare l’opportunità e l’irrinunciabilità all’inserimento.
La legge 118 del 30 marzo 1971, artt. 2, 28 e 29, stabilì la scolarizzazione per tutti, fatte salve delle eccezioni, nelle scuole comuni. A questo intervento legislativo ne seguirono molti altri, fra i più significativi il D.P.R. 970/75 sulle scuole aventi particolari finalità e sui nuovi Corsi di specializzazione, le circolari n. 227 del 1975 e n. 228 del 1976 che riportavano indicazioni per l’utilizzo del personale delle scuole differenziali e speciali, specializzato o con particolari titoli ed esperienze nelle attività di sostegno una utilizzazione che si realizzava nelle forme più diverse. Con la legge 517/77 si stabilirono norme precise per la programmazione didattica in generale e per le attività di recupero e di sostegno. A questa legge la scuola media era interessata in particolare dall’ art. 7 che statuiva l’abolizione delle classi di aggiornamento e delle classi differenziali e gli impegni nella programmazione e dall’ art. 10 per quanto riguardava gli alunni non udenti. La circolare n. 178 del 311uglio 1978 dava invece disposizioni più specifiche e dettagliate per l’attuazione della legge 517/77, specie sulle attività di recupero e di sostegno, con l’utilizzazione delle «160» ore e affrontava anche i problemi degli interventi per gli alunni portatori di deficit. A questo proposito si faceva rilevare che «la programmazione educativa deve prevedere forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicaps, utilizzando esclusivamente docenti di ruolo e incaricati a tempo indeterminato già in servizio nella scuola che ne facciano richiesta e che siano in possesso di particolari titoli di specializzazione. Detti docenti potranno essere utilizzati, ciascun fino al limite massimo di sei ore settimanali, in ciascuna classe che accolga alunni portatori di handicaps cioè un docente per classe, prescindendo dalla titolarità dell’insegnamento».
Importanti erano anche i contenuti della circolare n. 159 del 28 giugno 1979, che definiva la collaborazione tra scuola e servizi UU.SS.LL. del territorio, nell’intento di realizzare nella scuola un lavoro di équipe con gli specialisti esterni. Interessante si propone anche la circolare ministeriale n. 199 del 28 luglio 1979 in cui, dopo avere richiamato la possibilità di utilizzare nel sostegno i docenti di scuole speciali e di ex classi differenziali, il Ministro afferma che «è da evitare peraltro l’utilizzazione di insegnanti che non abbiano alcuna qualifica o alcuna esperienza in ordine alle condizioni di handicap per le quali sono previsti gli interventi di sostegno … ». La circolare ministeriale n. 206 del 4 agosto 1979 ribadisce il concetto che le attività integrative di sostegno nella scuola media non devono essere avulse dal contesto delle attività programmate per la classe, anzi devono essere parte integrante e qualificante.
La legge n. 260 del 3 giugno 1980 prevede il trasferimento allo Stato dei docenti delle scuole speciali parificate, perdenti posto per soppressione totale o parziale di dette scuole, per essere utilizzati come docenti per attività di sostegno.
Un altro momento qualificante della normativa in materia è rappresentato dalla legge 270/82, essa stabilisce che anche i posti di attività di sostegno concorrano alla determinazione delle dotazioni organiche dei ruoli provinciali, ciò che offre l’opportunità di una maggiore stabilità ed un effettivo riconoscimento della funzione e del ruolo dell’insegnante specializzato. Una positività accompagnata da un aspetto negativo poiché si vuole che nel determinare l’organico per le attività di sostegno, il rapporto, di regola, debba essere di 1 a 4, per cui un docente dovrebbe operare solo 4 ore e mezzo su ogni alunno assegnatole.
Intanto si fa sempre più assillante e necessario arrivare a precise e concordate intese tra Scuola, Enti Locali e UU.SS.LL. al fine di garantire non più !’inserimento ma l’integrazione, cercando con ogni mezzo di diffondere una «cultura delle intese».
Con la circolare n. 258 del 22 settembre 1983 si richiama proprio l’attenzione e il dovere dei vari Enti a stipulare intese operative e programmatiche. L’attuazione coerente e concordata delle intese, si dice, deve portare alla formulazione di un «Piano educativo individualizzato» indispensabile per l’integrazione di ciascun alunno con deficit, un Piano che a partire dalla «Diagnosi funzionale» giunga alla individuazione di strategia educativa a cui tutti i contraenti delle intese devono concorrere.
Un’ altra circolare ministeriale particolarmente importante è la legge 250 del 3 settembre 1985, in essa si ribadiscono i concetti di «Diagnosi funzionale» e di «Piano Educativo Individualizzato» e si insiste sulla attuazione delle intese, oltre ad affermare testualmente che «non si deve mai delegare al solo insegnante di sostegno l’attuazione del progetto educativo individualizzato poiché in tal modo l’alunno verrebbe isolato anziché integrato nel contesto della classe o della sezione, ma che tutti i docenti devono farsi carico della programmazione e della attuazione e verifica degli interventi didattico-educativi previsti dal Piano individualizzato. Spetta agli insegnanti di classe e di sostegno, in accordo con l’insegnante di sezione, realizzare detto progetto anche quando quest’ultimo insegnante non sia presente nell’ aula. Ciò per evitare i «tempi vuoti» che purtroppo spesso si verificano nella vita scolastica degli alunni portatori di handicap e che inducono semplicisticamente a richieste di una presenza sempre più prolungata degli insegnanti di sostegno a fianco dei singoli alunni, travisando così il principio stesso dell’integrazione che è quello di fare agire il più possibile il soggetto insieme ai suoi compagni di classe, di sezione o di gruppo».
Uno tra gli ultimi importanti atti legislativi è stato il D.M. del 24 aprile 1986 e l’O.M. del 24 giugno 1986 sui nuovi programmi per i Corsi di specializzazione. Tali corsi si definisce che devono rimanere di durata biennale di 650 ore annue, essi presentano una spiccata valenza psico-pedagogico-didattica rispetto ai precedenti che avevano una spiccata caratterizzazione medica. La novità tuttavia consiste essenzialmente nella polivalenza del titolo che «deve connotarsi per alcuni caratteri fondamentali relativi della competenza metodologica in senso osservativo, valutativo, dinamico e programmatico». Si ribadisce anche che «l’integrazione dell’ alunno riguarda tutti i docenti» e che il compito precipuo dell’insegnante specializzato è quello «di far sperimentare al contesto educativo la dinamica delle esigenze degli alunni portatori di handicap.
L’evoluzione storica, culturale e giuridica dell’insegnante specializzato delinea una nuova e diversa figura dell’insegnante di appoggio, un termine usato in precedenza e che rifletteva un modulo limitato e passivo di questo docente, scambiato com’era per un assistente.
Nei programmi si legge: « … la professionalità consiste nella capacità di assumere conoscenze dell’alunno e della classe sotto i diversi profili strumentali e funzionali, biologici, psichici, sociali e culturali, acquisendo correttamente, in modo critico le necessarie informazioni ed elaborando i relativi rilievi; nella capacità di costruire moduli didattici educativi integrati nell’ organizzazione scolastica; nella capacità di costruire una documentazione che rifletta, in modo trasmissibile, le proprie scelte e le modificazioni rispetto alle ipotesi iniziali; nella capacità di promuovere incontri onde realizzare una programmazione partecipata dal proprio intervento specializzato e di integrarla nella progettazione collegiale; nella capacità di guidare e realizzare le opportune strategie di insegnamento nelle diverse situazioni (individuali, di gruppo, in condizione strutturale e libere) esercitando l’intervento specifico all’interno dei vari settori di apprendimento. ( … ) Le conoscenze riguardano fondamentalmente i seguenti ambiti:
– La programmazione/progettazione degli interventi educativi attraverso la valutazione partecipata dell’ alunno;
– adeguati criteri scientifici relativi alla conoscenza dello sviluppo, dei processi di apprendimento, delle dinamiche relazionali;
– le conoscenze specifiche delle difficoltà di apprendimento nelle varie situazioni di minorazione e dei relativi ostacoli, anche in rapporto a sfere più ampie delle prestazioni richieste (comunicazione, relazione, autonomia);
– le metodologie didattiche ed educative che comportano interventi peculiari, l’adozione di sussidi protesici, le risorse tecnologiche;
– i processi interattivi tra scuola, gli altri servizi e l’ambiente;
– le modalità operative interdisciplinari (e relativi principi teorici) con particolare riguardo al settore terapeutico-riabilitativo e sociale. ( … )
Le competenze inoltre riguardano:
– la capacità di condurre una osservazione sistematica tale da poter essere integrata nel processo valutativo globale;
– la corretta raccolta dei dati e la loro conseguente analisi nella prospettiva di un progetto educativo e della relativa verifica; – la costruzione di un curriculum in rapporto alle potenzialità dell’alunno fondata anche sull’ approfondita conoscenza di specifici interventi didattici;
– l’individuazione delle esperienze educative didattiche atte a permettere il massimo sviluppo delle potenzialità dell’ alunno e la sua crescita psico-sociale;
– l’uso pratico e concreto di metodiche specifiche adeguate alla problematica della minorazione così come essa si configura nel singolo caso;
– l’individuazione e 1’attuazione di modalità operative che valgono ad ottenere la costruzione di concreti modelli di integrazione alla luce delle risorse individuali ed ambientali effettivamente presenti».
Mentre gli atteggiamenti che si richiedono all’insegnante specializzato sono:
– capacità di interagire all’interno delle situazioni scolastiche in rapporto al singolo alunno, alla dinamica del gruppo classe, ai processi di integrazione nell’istituzione, alle relazioni con i colleghi ed i superiori;
– analoga capacità rispetto a situazioni extra-scolastiche (familiari, terapeutico-riabilitative, sociali).
La normativa di questi ultimi anni ed in particolare i contenuti dei nuovi programmi per i corsi di specializzazione polivalente riflettono un atteggiamento culturale ormai completamente mutato; l’irrinunciabilità all’inserimento è divenuta oggi una irrinunciabilità all’integrazione, per questo si è voluto stabilire 1’ambito operativo dell’insegnante specializzato e il suo ruolo attivo nel Consiglio di classe, oltre a stabilire i rapporti di intesa tra scuola, Comuni e UU.SS.LL.
L’integrazione ormai è irrinunciabile ma può essere raggiunta e mantenuta solo con l’interazione costruttiva fra gli operatori di questi organismi. Tuttavia, ora che l’insegnante specializzato non è più strettamente legato ai singoli alunni segnalati, con il rischio della delega e dell’isolamento ed ha riconosciuta piena parità di funzione e di ruolo con l’insegnante di classe, tutto si muove in maniera molto più ricca ed articolata. Ma, mentre l’impegno educativo e didattico si muove con intenzionalità precise, pur con una inadeguatezza dei sussidi e degli spazi per varietà e quantità, il processo di attuazione dei nuovi regimi normativi, non trova ancora una esaustiva risposta, tanto che all’inizio dell’anno scolastico 1989/90 alla Lega per i diritti degli handicappati non sono mancate numerose segnalazioni dalle scuole di non soddisfatte richieste, necessarie al soddisfacimento dei bisogni, come pure, nell’universo della scuola sono ancora molte le situazioni di inadeguatezza degli insegnanti per una collaborazione olistica.
In Rivista Educazione Permanente- Università degli Studi di Siena, 5/1990
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