GUIDO PESCI ANTONIO VlVlANI[/pt_text]
A Lev Semenovic Vygotskij, psicologo sovietico, si devono gli sviluppi in campo medico-neurologico, psicopatologico e psicopedagogico, grazie anche all’opera di suoi insigni collaboratori come Lurija, Leontiev, Galaperin, Davydov, Talyzina e tanti altri. Collaboratori che, ancora oggi, appartenenti alla Scuola psicologica di Mosca condividono la sua teoria storico-culturale dello sviluppo della psiche, inteso come connessione profonda con la realtà in movimento e con la vita umana in condizioni di rapida evoluzione, l’« incessante creazione ».
Ma, nonostante che Vygotskij si sia profuso in ricerche psicologiche ed abbia edito una grande quantità di opere, queste, specie in occidente, si sono diffuse con parsimonia e con ritardi di non facile interpretazione. La prima edizione di uno dei suoi lavori fu presentata, in lingua inglese, solo nel 1962, grazie al Bruner, il quale è stato battezzato per questo « padrino» del Vygotskij (Cfr. S. Veggetti Il Mozart della psicologia, in L’Indice n. 2 /1988 pag. 36). Una edizione tradotta in italiano dall’inglese e non dall’opera originale è apparsa solo nel 1966 col titolo « Pensiero e linguaggio ». A questa sono seguite in Italia, altre edizioni dei lavori del Vygotskij:
— « Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori » (1974)
— « Studi sulla storia del comportamento. La scimmia. L’uomo primitivo. Il bambino » (1974)
— « Lezioni di psicologia » (1986) oltre ad articoli, tra i quali: « Apprendimento e sviluppo intellettuale in età scolastica »
Traduzioni che non hanno offerto un contributo specifico sulle questioni di patologia psicologica e di psicologia clinica che, pur tuttavia, il Vygotskij aveva ampiamente studiate e sviluppare. Solo il libro dal titolo « Fondamenti di difettologia » edito da Bulzoni -Roma, uscito nel 1986 propone contributi applicativi in psicologia clinica, destinati a fronteggiare i difetti del ritardo mentale o sensoriale e i disordini comportamentali, mantenendo al tempo stesso una indiscussa rilevanza anche in campo teorico generale.
Possiamo dire, quindi, che nonostante l’interesse scientifico dei problemi affrontati e l’inestimabile influsso esercitato dal Vygotskij, siamo stati raggiunti e destati da tali proficue sollecitazioni sul piano sperimentale e sul dibattito teorico solo con grande ritardo. Un inspiegabile ritardo sia nell’apprendere i suoi assunti in psicologia, in neuropsichiatria, in pedagogia e, ancor più, nella conoscenza della sua teoria scientifica e del suoi percorso prassico, metodologico e tecnico, innovato alla psicologia clinica.
Nel 1986, del resto, c’era ancora chi scriveva sul Vygotskij e si limitava per ignoranza a dire che egli era ridotto ai soli studi di psicopatologia, altri, persistendo nell’ignoranza, dicevano che in lui dominava solo lo studio e la ricerca sulla relazione fra pensiero e linguaggio, oppure sulla teoria dello sviluppo intellettuale o sulla teoria dell’educazione.
Ebbene la teoria evolutiva del Vygotskij, che è descrizione della via dell’uomo verso la libertà e l’individualità non poteva avere limitato i suoi studi per settori cosi scotomizzati e ancor più non poteva avere trascurato tutti quei soggetti che, a causa di loro difetti sono impediti o frenati ad essere e manifestarsi. Le ricerche per individuare quanto il Vygotskij avesse prodotto in esperienza, conoscenza, teoria e prassi, sui temi della psicologia clinica hanno confermato il suo vasto impegno in questo vasto settore, peraltro mai disancorato dagli studi sugli altri indirizzi disciplinari.
La traduzione dal russo di una raccolta delle sue opere su queste tematiche, estesa per oltre 450 pagine, voluta dallo Editore Bulzoni di Roma, è oggi testimone dell’impegno di Lev Semenovic Vygotskij verso quei soggetti che per loro difficoltà fisiche, psichiche e sensoriali non trovano ancora oggi risposte idonee per una reale integrazione sociale.
Il Vygotskij ci ha fornito i fondamenti scientifici, metodologici e sociali che ha ritenuto insostituibili alla scienza che si occupa dei sistemi operativi attinenti alla psicologia clinica. Ed è da questi suggerimenti, assunti per colmare l’avvilente destino dei soggetti in difficoltà, che ben possono essere realizzati gli interventi in campo clinico applicativo.
Dalla clinica pedologica alla diagnosi funzionale
L’analisi critica verso la situazione esistente e l’avviamento ad un costrutto alternativo rispetto al vivaio di discriminazioni e di risultati deludenti cui abbiamo assistito fino a questi ultimi anni, imponeva il porre in discussione e sviluppare una critica sull’applicazione pratica e sistematica delle nostre diverse strategie diagnostiche.
Il Vygotskij, nel ricorrere alla sua vasta conoscenza, analizzate le ricerche sui vari processi dell’apprendimento e del comportamento, esposti i criteri ci metodi di ricerca sperimentale, di elaborazione teorica e di valutazione, ed esaminato ogni problema educativo e sociale, ci ha offerti, con ricchezza di particolari, svariati esempi secondo cui i soggetti con difetti possano raggiungere l’integrazione sociale.
Dal Vygotskij apprendiamo per quali diverse vie è possibile realizzare una concreta conquista dell’autonomia del soggetto deficitario e come affrontare i rischi e le difficoltà pertinenti la crescita epressivo-comunicativa e rappresentativa del soggetto.
Il recupero del soggetto con difetti fisici, psichici o sensoriali non può avvenire, ad esempio, dice il Vygotskij, su una concezione puramente aritmetica della insufficienza, o con una educazione condotta su un modulo quantitativo o della sottrazione, poiché questo avrebbe il significato di adattarsi al deficit anziché sconfiggerlo, adattarsi alle carenze del soggetto anziché battersi contro di esse per superarle e vincerle. Un simile intervento, secondo il Vygotskij, sarebbe testimone solo di una anarchia operativa. Del pari, il Vygotskij, impreca contro quanti intendono intervenire, in termini rozzamente organici, medici, sui problemi pedagogici e psicologici, per mezzo cioè di ciò che definisce pedagogia-terapeutica, ortopedia psichica, o approccio zoologico al soggetto con deficit.
Quanti leggono e descrivono gli organi solo in senso anatomico, incapaci di riconoscerli come importanti organi sociali, afferma l’Autore, rischia di vedere nel soggetto in difficoltà solo il deficit, solo l’aspetto patologico e non anche l’enorme riserva di salute.
È ora, diceva il Vygotskij 60 anni or sono, di dare inizio ad uno studio dinamico del soggetto e perciò constatarne la disarmonia di sviluppo aggravato dal deficit e di comprendere ogni momento della sua vita trascorsa e le sue esigenze di essere sociale. Si tratta di dovere studiare il soggetto non solo come fenomeno organogenetico, ma come un soggetto socialmente deviato dalla norma, conoscere perciò ogni suo aspetto sociogenetico e psicogenetico; non quindi limitarsi a studiare il deficit ma dirigere l’attenzione Sul portatore di un certo deficit.
Per dare forza a questa necessità di stare nel rispetto della persona e di apprendere da questa, al lettore del libro « Fondamenti di difettologia » propone un aneddoto proprio sul modo troppo frequente di condurre un consulto sul disadattamento infantile. Secondo il racconto della madre allo specialista: il bambino presentava immotivati e forti attacchi di irascibilità, di ira, di collera e riferiva che in questa Situazione riteneva che il bambino potesse essere pericoloso per coloro che lo circondavano… Ebbene sottoposto il bambino ad un esame lo specialista definì il bambino « epilettoide » e su pressioni della madre per conoscere meglio il significato della « malattia » riscontrata, le venne spiegato che il bambino era iroso, eccitabile, irascibile, tanto che se va in collera non capisce più nulla e può divenire pericoloso per chi lo circonda… Delusa, alla madre non rimase che obiettare: « tutto questo ve l’ho raccontato io stessa! »
L’inutilità di queste indagini indusse il Vygotskij a costruire ben altre opportunità diagnostiche che debbono basarsi, nel caso esemplificato, a far capire alla madre come doveva comportarsi con il bambino, come reagire ai suoi scatti di rabbia, come sfuggire a questi, come rendergli accessibile la frequenza scolastica, ecc.
A proposito della diagnostica il Vygotskij ha indicato molto compiutamente il modo di uscire dalla crisi, il passaggio dalle diagnosi a « diagnosi autentiche ».
Non è sufficiente, diceva il Vygotskij, una descrizione esteriore delle singole manifestazioni e una elencazione dei singoli sintomi. Le manifestazioni patologiche sono soltanto dei segni, delle espressioni dietro le quali si nasconde l’autentico processo patologico.. Questo processo non è determinato soltanto dalla manifestazione del disagio in un dato momento, ma dalla sua origine, dal suo decorso, dall’esito clinico, da elementi anatomici e da altri fattori che, presi nell’insieme, creano un quadro completo dell’autentica forma patologica. Esiste un fondamento esteriore ma anche un fondamento interiore che noi dobbiamo scoprire, perché senza questo, dice il Vygotskij, noi non troveremo una soluzione metodologica corretta al problema che ci interessa. La psicologia clinica non può sfuggire agli aspetti fenotipici, alla elaborazione fenomeno: logica, ai concetti genetico-condizionali, ma ancor meno può non tener conto del fenomeno causale-dinamico che li testimonia. Questo ha come significato che l’essenza delle cose non coincide con la loro espressione; chi le giudica soltanto per le loro manifestazioni casuali, le giudica erroneamente, giunge inevitabilmente a rappresentare in modo sbagliato la realtà che sta studiando, a dare delle indicazioni pratiche sbagliate sull’azione da esercitare su questa realtà.
Si tratta di passare ad un metodo di pensiero veramente scientifico, compiendo Una svolta dallo studio dei sintomi alla analisi di ciò che sta dietro ai sintomi, cioè dalla manifestazione esteriore dei fenomeni allo studio della loro essenza interiore.
Oggi, trascorsi 60 anni, da queste teorizzazioni e queste prassi auspicate, la metodologia della psicologia clinica potrebbe riuscire indubbiamente a trarre corrette conclusioni. Purtroppo, si continua, invece, assai spesso, a basarsi sulla descrizione esteriore delle singole manifestazioni, garantiti da un sistema di classificazione dei disordini secondo particolari rubriche. Per questo, ancora oggi, viene imputata alla psicologia clinica la responsabilità di insufficienti, formulazioni operative, che ci vedono inefficienti per rispondere adeguatamente a quella modalità diagnostica che oggi intendiamo col termine « diagnosi funzionale ».
Dal concetto tradizionale di « medicina della malattia » ci siamo sicuramente allontanati, ma certo non abbiamo assunte ancora le distanze necessarie, come del resto è stato confermato in due ultimi congressi (1989 e 1990), ambedue istituiti proprio per verificare le modalità psicodiagnostiche attualmente seguite quanto l’attuale concetto leader di « diagnosi funzionale » viene soddisfatto contemporaneamente alla definizione di un procedimento clinico e lo scopo di una diagnosi clinica: procedimenti che debbono esigere l’interpretazione dei risultati, lo studio delle modalità operative e gli strumenti adatti per iniziare un valido intervento.
Dall’impegno decodificatorio all’intervento clinico applicativo
È evidente che, con quanto fin qui emerso, dal Vygotskij non possiamo attenderci una esaltazione dell’ortopedia psichica e della cultura sensoriale, della pedagogia prescientifica che basa il suo impegno sul disegnare puntini con velocità crescente, trasportare recipienti pieni di acqua, infilare o sfilare le perle di una collana, lanciare degli anelli, tracciare delle lettere, confrontare delle tabelle, assumere una posa espressiva, studiare gli odori o distinguere la loro intensità. Dal Vygotskij ci giunge un NO deciso contro la pedagogia terapeutica che si basa su di uno spirito ospedaliero, su un lavoro forzato, insensato, penoso, sterile, contro la pedagogia speciale che trova supporto nella « psicologia separatista ».
Gli interventi che si basano su una pedagogia terapeutica dice il Vygotskij, sarebbero adatti per far regredire mentalmente ogni bambino normale, perciò ancor più adatti per fare affondare sempre più nel suo ritardo il bambino con deficit.
L’alimentazione terapeutica del bambino deficitario compromette, secondo il Vygotskij, la sua normale alimentazione; un nutrimento che deve basarsi sull’enorme riserva di salute, in aiuto ad un soggetto che in primo luogo è un individuo e in un secondo luogo un soggetto con difetti.
Una posizione, quella del Vygotskij, che non va intesa come intenzionalità a privare del deficit la psicologia clinica e la pedagogia sociale, ciò che il Vygotskij esige è l’utilizzo di un terzo occhio che tenga conto delle enormi risorse vitali che possiedono i soggetti affetti da anomalie. Non solo, ciò che amministra l’autorevole scientificità del Vygotskij è che. la psiche di un soggetto deficitario non nasce primariamente dal deficit organico ma dalle conseguenze sociali originate dal deficit.
Le conseguenze sociali del deficit rafforzano, alimentano e consolidano il deficit. Da ciò ne deriva che alla compensazione biologica deve sostituirsi l’idea della compensazione sociale al deficit.
Non si discute, dice il Vygotskij, se il bambino abbia bisogno di particolari tecniche in ausilio, si tratta con quali mezzi attuarie, se con un segnale a comando o tenendo contro in modo ragionevole e cosciente dei compiti reali dell’educazione sociale, i problemi dell’educazione dei bambini deficitari possono essere intesi e perciò risolti come problemi di pedagogia sociale. L’educazione sociale del bambino deficitario, fondata sui metodi di compensazione sociale dei suoi deficit, secondo il Vygotskij, è l’unico orientamento scientificamente valido e ideologicamente giusto. L’educazione speciale deve essere perciò subordinata a quella sociale, deve essere coordinata ad essa e, ancor più, fondersi organicamente con essa, entrarvi come sua parte costitutiva.
Così, con questi suoi criteri di indirizzo, il Vygotskij ci avvia verso l’educazione sociale, un lavoro educativo condotto sul piano dell’interesse del bambino e che impone una formazione adeguata a tutti gli insegnanti affinché «tutti» sappiano insegnare ai soggetti deficitari. Da questi presupposti ideologici e scientifici prende connotazione l’intervento clinico applicativo, un intervento realizzato in modo che nel soggetto venga inaugurata la necessità del linguaggio, veicolo di esperienza sociale, coniugato e alleato nell’educazione con tutti gli istinti e le tendenze infantili; una educazione che si apre quindi ad obiettivi olistici.
Lo studio dinamico del soggetto deficitario non si può, dice il Vygotskij, limitare alla constatazione del grado e della gravità dell’insufficienza ma, immancabilmente deve includere il calcolo dei processi compensatori-sostitutivi, integrativi e correttivi dello sviluppo e del comportamento del soggetto. Quindi ne deriva ancora una volta, che non è tanto importante l’insufficienza in se stessa, quanto il soggetto affetto dall’insufficienza. Perciò, per influenzare positivamente il soggetto occorre dare significato alla reazione della personalità al deficit, a quel quadro estremamente complesso di influenze, di forze, di tendenze, di spinte che costituiscono la peculiarità del superamento o correzione degli stati di difficoltà o di disagio, dando vita a forme di sollecitazioni creative, infinitamente varie.
Con questa dichiarazione non sfugge che l’educazione sociale è intesa come interazione, azione reciproca fra i membri della popolazione scolastica o extra-scolastica, e che non può trascurare l’intelligenza, la personalità, le caratteristiche di apprendimento del soggetto, i suoi ritmi, la quantità dei lessico comunicativo appreso fino a quel momento e le disabilità che lo frenano.
Il compito dell’educatore può essere assolto, quindi, solo se assicuriamo al soggetto la possibilità di sviluppare, di affinare, di rappresentare tutte le sue abilità e le sue capacità potenziali. Ciò significa che il soggetto deve essere inteso come persona globale, unità complessa, piena di risorse interiori.
Una anticipazione quella del Vygotskij che, a partire dall’educazione sociale e del turbamento delle forme sociali dei comportamento provocate dal deficit, postula una visione « olistica », strategica e ego-dinamica, che apre gli accessi polieducativi. Una educazione « olistica » che già negli anni ‘20, si proponeva come visione concretamente psicologica, sociologica e pragmatica, oggi torniamo a parlarne, dichiariamo di sentire l’esigenza di realizzare questi intenti, ebbene per realizzarli concretamente dobbiamo, ispirati al Vygotskij, non negligere lo studio del clima sociale più utile al soggetto.
Da Rivista L’Insegnante Specializzato 2/92
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