GUIDO PESCI
[/pt_text]Una cellula si definisce aneuploide ogni qualvolta possiede un numero di cromosomi diverso dal normale corredo cromosomico. L’aberrazione cromosomica che consiste nella presenza di un cromosoma 21 in più viene definita trisomia 21.
Noi tratteremo qui il problema educativo proprio delle persone con questa anomalia cromosomica.
La scelta di soffermarsi sui soggetti con trisomia 21 è dovuta alla maggior frequenza di questa trisomia rispetto alle altre.
La trisomia 21 è presente, infatti, in un soggetto su 800 nati vivi rispetto alla trisomia 18 – Sindrome di Patau 1/21.000 nati vivi o alla trisomia 18 Sindrome di Edwards 1/10.000 nati vivi.
Il termine di trisomia 21 è recente, utilizzato da Lejeune, Gautier e Turpin nel 1959 quando scoprirono che i soggetti, definiti allora mongoloidi, possedevano cromosoma in più al livello della 21 esima coppia di cromosomi. Fino al 1959 la nomenclatura si era presentata assai colorita “cretinismo furfuraceo” od “idiozia furfuracea” (Seguin 1843), “idiozia mongoloide” (Down 1866) “idiozia calmucca” (Fraser 1876, “bambino malfìnito”) (Thomson 1907 “bambino non finito”) (Shuttleworth 1909), “tipon ipomofo bianco” (Bennet Bean 1925), “malformazione mongoloide” (Van Der Scheer 1927), “fatalismo” (Penrose 1934), “embrioidia” (Illing 1939), “amenzia pristatica” (Engler 1949), “acromicria congenita” o “displasia fetale generalizzata”(Benda 1949).
Tante definizioni alle quali subentra e domina quella di “mongolismo”, termine abbandonato a seguito dei reclami presentati all’O.N.U negli anni delle rappresentanze di razza mongola. A questi reclami seguì la proposta di utilizzare per questa anomalia cromosomica la definizione “Sindrome di Down” come riconoscimento a chi l’aveva descritta per prima (John Langdon Haydon Down).
Alle scelte o ai compromessi politici noi anteponiamo la definizione clinica trisomia 21 e il soggetto preferiamo considerarlo per l’alterazione cromosomica di cui è affetto e a non confonderlo con i pregiudizi del signor Down sulla regressione di una razza rispetto ad un’altra o sulla degradazione della popolazione mongola a “idioti congeniti”.
Caratteri e difficoltà oggettive
Nei soggetti con trisomia 21 si possono riscontrare alcune strutture morfologiche assai caratterizzanti facies, struttura corporea, ipotonia muscolare, iperlassità legamentose, conformazione delle mani e dei piedi, ecc.) tipici atteggiamenti comportamentali (motricità deficitaria e lenta interessi limitati ed egocentrici, umore variabile, attività fugace ecc .).
La facies è quella nota, caratterizzata dalle rime palpebrali inclinate verso l’alto e dalla piega epicantica, l’iride è punteggiato dalle cosiddette “macchie di Brushfield” gli occhi sono distanziati (ipertelorismo), la lingua è ingrossata e segnata da profondi solchi, il naso è corto e a sella (aperto e piatto) per lo scarso sviluppo delle ossa nasali, le orecchie sono molto corte con possibili anomalie delle cartilagini, il collo è corto e grosso con frequente “pterygium colli”, le mani e piedi sono piccoli: le mani sono corte e larghe, il mignolo è spesso rudimentale, e aumentato lo spazio fra il primo e il secondo dito (il pollice è molto aperto) specialmente nei piedi, il palmo è attraversato da una sola linea trasversale al posto di tre, il cranio e appiattito e le arcate orbitarie sono più piccole del normale, l’addome e sporgente per ipotonia dei muscoli addominali, la pelle è sottile, raggrinzita.
La faccia durante l’evoluzione auxologica tende a mantenersi rotonda e larga anche per la mancata eruzione degli ultimi molari. La struttura corporea di questi soggetti ha valori dell’altezza in piedi molto bassi a causa delle gambe corte, una dimensione corporea tarchiata. L’ipotonia muscolare è presente in misura più o meno accentuata nella quasi totalità dei soggetti e riveste un ruolo molto importante nel ritardare il conseguimento di quelle posture (controllo del capo, posizione seduta stazione eretta, che aiutano il bambino ad acquisire la consapevolezza del proprio corpo e che costituiscono il presupposto per lo sviluppo di una motricità che ponga il soggetto in relazione col mondo esterno. Questa ipotonia favorisce una soddisfacente relazione primaria madre-bambino ma la fascia muscolare è aggravata da iperlassità legamentosa (con conseguente ipermobilità articolare), dal frequente peso corporeo in eccesso e dalla forma delle mani e in particolare delle dita, corte, tozze e poco atte alla prensione e alla manipolazione. Aggravanti di questo quadro clinico sono la respirazione boccale, condizionata, oltre che dall’ipotonia dei muscoli respiratori, anche da problemi di ordine O.R.L. A queste difficoltà si devono aggiungere quelle elocutorie, dovute ad alterazioni di ordine anatomo-funzionali: la lingua molle ipotonica protende frequentemente per la ristrettezza del cavo orale (la mascella è piccola, il palato è stretto), l’eruzione dei denti e ritardata, come pure è innegabile il rallentamento psicomotorio; i disturbi visivi sono dati frequentemente da strabismo e difetti di rifrazione (astigmatismo e miopia), e non mancano i problemi ortopedici (piede piatto, ginocchio valgo scoliosi) così come sono possibili le cardiopatie congenite e le tiropatie. Al soggetto trisomico si attribuisce anche una I.M. (I.M. gravi 30. I.M. medie 38-50 I.M. lievi 32-35) per un danno di ordine prevalentemente funzionale. Secondo Lang (1974) vi sarebbero infatti delle alterazioni nei circuiti con rallentamento dei processi di trasmissione dell’impulso nervoso. Tuttavia vengono attribuite anche responsabilità alle alterazioni strutturali (cervello sottopeso, con circonvoluzioni semplici, relativa piccolezza del cervelletto, inclinazione rapida dei lobi occipitali, minore densità di cellule sensitive. Il soggetto con trisomia 21 sperimenta molte difficoltà a collegarsi col mondo circostante per una percezione personale diminuita e compromessa da una difficoltosa interazione fra i sensi e per una difficoltà nella decifrazione e elaborazione dei messaggi. Esso si propone ostinato, con abitudini acquisite, atteggiamenti imitatori, instabile, goffo, scoordinato. La “concretezza” del pensiero rende difficoltose le costruzioni che hanno carattere rappresentativo, concettuale, simbolico. Nel soggetto con trisomia 21 è presente l’incapacità di ideazione superiore e di comprensione dei concetti astratti, la labilità attentiva, il deficit dell’affettivo, insicurezza, suggestionabilità, ansia, iperemotività, meticolosità e perseverazione, labilità dell’umore.
Dall’astrazione alla specificazione
I riferimenti fin qui tracciati sono una evidente, oltransistica generalizzazione. Connotazioni del soggetto con trisomia 21 che hanno il pregio di fare risaltare gli aspetti distintivi così come hanno il difetto di dimenticare il soggetto, la persona, la sua unicità, singolarità, eccezionalità. Sono degli uniformi criteri di valutazione; definizioni di comportamenti anticipatamente definite. Pregiudizi, specchio di una convinzione che, essendo questa sindrome di natura congenita, tutti gli individui che ne sono affetti dovrebbero essere uguali tra loro. Una semplificazione che si basa sui preconcetti della malattia e che dimentica il soggetto, la persona. Una assolutizzazione, riduzione e semplificazione che rischia di negare la persona; Qualcuno ha ritenuto che una diagnosi clinica potesse rispondere a questi rispetti e si è dato un gran da fare nell’approntare items per rilevare la sintomatologia distintiva del singolo soggetto. Sono scaturite prove per la verifica delle abilità nella alimentazione, vestirsi e svestirsi, toiletta ed igiene, autonomia negli spostamenti, gioco e socievolezza. Esami e modalità di esami del soggetto, fra cui: esame clinico-neurologico, esame motoscopico (equilibrio statico e immobilità, coordinazione dinamica e diadococinesi, tono muscolare (comprese le informazioni di ordine kinestetico, stereognosico e somatognosico), organizzazione del movimento (forza, velocità, abilità, destrezza, capacità di dissociazione dei movimenti), strutturazione temporo-spaziale, associazione percettivo-motoria, dominanza laterale, respirazione. Esame motometrico (percezione visivo-motoria, organizzazione spaziale e ritmica, ecc.) Tanti esami a cui vengono fatte seguire le strutturazioni di percorsi personalizzati.
Educare il soggetto con trisomia 21
In presenza di un soggetto in difficoltà, il desiderio comune è da sempre stato quello di sottoporlo a diagnosi cliniche, per questa via, rilevare la sintomatologia che lo distingue. Questa è la via seguita anche per il Down.
Un metodo teleologico in antitesi ad una concezione integrale e dinamica. Un criterio in contrapposizione ad un sistema transazionale che permette di accogliere, capire e valutare ogni modalità comunicazionale e che offre opportunità di analizzare gli scambi nell’ambito di una relazione interindividuale, capace di sorprendere aspetti razionali e cognitivi, contemporaneamente a quelli emotivi e affettivi.
Per raggiungere queste finalità e con esse il soggetto testimone dei propri disagi e delle proprie necessità in opportunità, si impone una osservazione dinamica in un contesto relazionale.
Osservazione in un contesto relazionale
Per conoscere il soggetto si tratta di individuare e leggere le sue difficoltà manifeste e le sue potenzialità inespresse-regolate dalle relazioni che instaura con l’ambiente e dalle risposte che ne riceve; dalle strategie comunicative che cerchi il suo rapportarsi al mondo. Occorre raccogliere ogni segnale di “agio e disagio”, attraverso i quali il soggetto intende indicare le proprie valutazioni sulle condizioni esterne e interne che offrono ad esso occasione di partecipazione. In questo dialogo interpersonale il soggetto può mostrare fastidi prodotti dalla relazione prossemica, dalle occasioni di avvicinamento/ allontanamento, posizionalità degli altri rispetto a lui, ecc. In una situazione relazionale il soggetto può proporre la sua fragilità, la sua ansia, la sua angoscia, i suoi moti di paura e di fuga, può fare apprendere ciò che rifiuta o accetta, ciò che lo può sollevare dal disagio e ciò che lo mantiene in costante disadattamento. L’avvio ad un costrutto relazionale, contro ogni prescienza, offre l’occasione di partecipazione al dialogo e permette di accogliere, capire e valutare ogni espressione, ogni richiesta silenziosa e verbale, lette e apprese dalla spontaneità della relazione, evitando di sottoporre il soggetto a “prove per…”. Il percorso relazionale risponde infatti alle esigenze della persona, del soggetto, affatto considerato come corpo messo a disposizione per stabilire e valutare, per raggiungere un bilancio desunto da formulari tipo.
Una relazione che, unica, può ovviare all’imprecisione, alla pretenziosità di essere obiettivi con i soli, esclusivi, dati sintomatologici. Il dialogo in un costrutto relazionale può essere l’occasione, per il soggetto, di manifestare la propria presenza, sviluppare l’identità personale, offrire esperienze realizzatrici di proposte non prevaricanti il soggetto reale, avviare a momenti interattivi, alla messa in gioco di tutti i canali di comunicazione, privilegiando le valenze attrattive. Le “infant-observation”, in un contesto relazionale di insediamenti attivi e costruttivi, offrono infatti l’opportunità di cogliere la carica captativa e propulsiva del soggetto. Da queste opportunità di apprendere da lui è chiaro che la strategia educativa non potrà avere limitazioni derivate dalle codificate fasi di sviluppo e dalle tappe convenzionali di evoluzioni lessicali e motorie o dai livelli di abilità cognitive raggiunte. Per questo le strategie di recupero devono essere realizzate in una relazione interpersonale in cui l’interazione fra sviluppo intellettivo ed emozionale trovano ampie e favorevoli risposte.
Strategie di recupero
La persona è una totalità espressiva e comunicativa sia nel momento dell’osservazione ma pure in quello del recupero; una occasione quest’ultima in cui il soggetto non può essere considerato una semplice somma di funzioni, di istanze, di meccanismi, di pulsioni o di fantasmi. All’uomo integrato le strategie di recupero devono dedicare una globalità di linguaggi che esprimano una situazione transazionale intesa come scambi di stimoli e risposte conseguenti e che, unica, può sviluppare canali educativi e interessi diversificati. Nel rivolgerci alla persona l’intervento educativo, come quello terapeutico, dovranno essere realizzati in un clima favorevole allo sviluppo del soggetto e assicurata una collaborazione fiduciosa e fruttuosa. A questa necessità e opportunità da risposta l’epistemologia relazionale, che lega le sue pratiche all’entusiasmo, alle emozioni, alle fantasie, alle resistenze, all’attivazione dei meccanismi omeostatici. È in questa concezione integrale e dinamica, in questi presupposti per il cambiamento, che riteniamo sia opportuno operare.
Una situazione dinamica dove non mancheranno le sollecitazioni per migliorare l’organizzazione dell’Io e del mondo circostante; azioni, immagini, simboli, si svolgeranno in particolarità relazionali che garantiranno l’ampliamento, lo sviluppo, il controllo, l’utilizzo delle capacità e potenzialità del soggetto, situazionando esperienze poliedriche in simpatia. L’elenco delle occasioni di scambio in un contesto relazionale è inesauribile e si può solo estimare sulla base dell’abilità professionale dell’operatore. Comunque, non potrà essere un elenco di esercizi da fare scimmiottare. In esso dovranno bensì trovare spazio le esperienze di coreografia fonetica, di melodiaterapia, di ritmo musicale e di ritmo corporeo. In una situazione relazionale recupera un fondamento quindi, ogni espressione corporea parlata, parole e frasi che, associate ai movimenti che informano il nostro dinamismo e affinano la nostra possibilità sensoriale. Toni e pause, accenti, occasioni di contatto e di incontro, diventano prodromo di nuovi equilibri, di una vera gioia di vivere, amplificazioni di ricettività e di concentrazione, tracce invisibili nel costrutto della coreografia ritmo-corporea-gestuale, che alimentano percorsi in accomodamento e che permettono di assumere una sempre maggiore sicurezza emotiva. Tanti momenti in cui anche la musica attiva individuale offre opportunità di espressione e sviluppo della creatività, così pure l’espressione corporea che, come espressione primitiva, può caratterizzarsi in una messa in movimento del corpo su dei ritmi di percussione o sul lavoro della voce. Una situazione di interazione in cui il soggetto possa trovare spazi anche per liberare il proprio grido, quel grido che permette di riconoscersi, di esprimere le proprie emozioni, di ritrovare la propria autenticità, non deformata dalle inibizioni e dalle difese. Il rispetto verso la persona con trisomia 21 non può limitarsi alla cancellazione del vocabolo “mongoloide”, bisogna anche cogliere per il soggetto ogni opportunità di evolversi in comunicazione simpatetica.
In Rivista Educazione permanente –Università degli Studi di Siena 1-2/1992
ISFAR viale Europa 185/b Firenze, info@isfar-firenze.it – web: www.isfar-firenze.it
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