Lev Semënovic Vygotskij

 

VIGOSTKICercare di penetrare l’opera del Vygotskij significa cogliere suggerimenti necessari per colmare l’avvilente destino dei soggetti in difficoltà e per ripristinare i loro diritti sociali così fortemente limitati. L’amara constatazione dell’oggi è che l’integrazione o l’inclusione nella società di questi soggetti è un problema ancora ben lontano dall’essere risolto.

Lev Semënovic Vygotskij ci fornisce con la pubblicazione di molti suoi lavori i fondamenti scientifici, metodologici e sociali che egli ha ritenuto presupposto insostituibile di una scienza rivolta ai sistemi educativi e formativi dei soggetti con difficoltà di sviluppo psico-fisico e sensoriale. Principi e orientamenti che ancora oggi, dopo quasi cento anni, non hanno trovato risposta.

In Italia nel tempo si è parlato molto di inserimento, successivamente di integrazione, oggi definita inclusione, ma se ci chiediamo, senza falsi pudori, se siamo stati capaci finora di inserire nella vita la persona diversamente abile, di orientare il suo legame sociale con la vita, di incidere favorevolmente sul suo inserimento lavorativo e sulla sua partecipazione alla società, al di là di certe forme poetiche di interpretazione, meglio di ogni risposta sarebbe eloquente il silenzio. Cercare di penetrare l’opera del Vygotskij significa cogliere suggerimenti necessari per colmare l’avvilente destino di questi soggetti e ripristinare i loro diritti sociali così fortemente limitati. I metodi correnti e l’applicazione pratica e sistematica delle diverse strategie educative finora applicate necessitano di discussioni e critiche. In primis critica a quell’inclusione che troppo spesso viene scambiata con una concezione puramente aritmetica della insufficienza, con una educazione condotta su un modulo quantitativo che potremmo definire della sottrazione, poiché vuole ridotte nel numero o differenziate le proposte didattiche e quindi semplicemente rallentata la loro elaborazione; ciò, secondo il Vygotskij, è testimonianza di una anarchia pedagogica.

Egli, del soggetto diversamente abile, ritiene sia necessario definire anche le differenze quantitative, ma soffermarsi a questo problema di superficie è comunque da condannare come mero disimpegno dell’educatore, capace solo di adattarsi al deficit anziché sconfiggerlo, come un liberarsi da un obbligo da parte della scuola, che così dimostra di essersi adattata alle carenze dell’allievo anziché pronta e capace di battersi contro di esse per superarle e vincerle. Un altro aspetto, anch‘esso non meno deludente per un reale processo di inclusione, sostiene sempre il Vygotskij, è quello di vedere gli addetti ai lavori conformarsi all’opinione comune che il diversamente abile è un malato e ritenere perciò che la terapia debba avere nella scuola il diritto di cittadinanza ed essere ritenuta insostituibile impronta a tutto il lavoro educativo. Il Vygotskij si è sempre opposto alla pedagogia patologico-terapeutica, quella pedagogia che ritiene di risolvere con l’«ortopedia psichica» e con la «cultura sensoriale», in termini rozzamente organici, i problemi pedagogici e ogni compito educativo.

Per Vygotskij la pedagogia terapeutica indirizza solo al separatismo fino a perdere di vista il confine tra l’ammaestramento e la vera educazione, tra l’educazione e l’«approccio zoologico» del bambino. Una pedagogia che legge e descrive gli organi solo in senso anatomico, incapace di riconoscerli come importanti organi sociali e che rischia di vedere nel bambino in difficoltà solo il deficit, solo l’aspetto patologico e non anche l’enorme riserva di salute. Queste alcune tra le tante disattenzioni pedagogiche sulle quali il Vygotskij si è soffermato per incitare a programmi e prospettive mutate, per dare inizio ad un rapporto educativo strutturato su uno studio dinamico del bambino e perciò capace di permettere di constatare la gravità della disarmonia di sviluppo aggravato dalle difficoltà e di comprendere ogni momento della sua vita trascorsa e le sue esigenze di essere sociale.

Si tratta di dover studiare il soggetto non solo come fenomeno organogenetico, ma come persona anche socialmente deviata dalla norma, conoscerne perciò ogni aspetto socio genetico e psicogenetico. Significa quindi non studiare il deficit, ma il portatore di un certo deficit. Il bambino il cui sviluppo è aggravato da un deficit è solo un bambino sviluppato in modo diverso e sul quale non gravano solamente le cause organiche ma anche, ed in particolare, la degradazione della posizione sociale, l’anormalità sociale, tanto che possiamo dire con certezza che non sono le difficoltà in se stesse a decidere le sorti della personalità, ma le sue conseguenze sociali, la sua realizzazione socio-psicologica.