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MAUPAS J.C.

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Oggigiorno sembra normale parlare di metodi di rilassamento nel campo della rieducazione quando, fino a poco tempo fa, questi me­todi erano legati esclusivamente al campo della psicoterapia o dei trattamenti medici specifici. Nonostante ciò, in Francia e nel mondo in genere, abbiamo vissuto con una certa regolarità, dei periodi a “tutto relax”. Già nel 1966, si poteva citare il professore Klammer che segnalava l’abuso che veniva fatto riguardo alla pubblicità sul rilassamento che non aveva pio niente di scientifico e di terapeutico, la cui unica ragione di esistenza era l’attrattiva del guadagno realizzato a sca­pito del povero cliente stanco e malato; il dot­tor Klammer scriveva: « è deplorevole che l’opinione pubblica e la stampa, complici di certi interessi commerciali, poco a poco stia­mo trascinando le tecniche nella promiscuità dubbiosa degli ipnotizzatori, dei praticanti del­la ossigenoterapia, dei ciarlatani di ogni tipo, fino ai rivenditori di poltrone cosiddette ri­lassanti ».

Come diceva J. Rostand: “il nemico più pe­ricoloso dell’uomo è l’uomo stesso”. Bisogna ammettere che c’è un divario enor­me fra i semplici esercizi di distensione e persino di rilassamento neuromuscolare, e i me­todi di rilassamento dinamico di tipo psicoanalitico o le psicoterapie di rilassamento. Tale divario è grande quanto quello esisten­te fra rieducazione e terapia nel senso di psicoterapia? Dipende dal tipo di situazione. Ad esempio nella relazione duale il paziente è so­lo di fronte al suo terapeuta, ma quest’ultimo può esercitare sia senza controllo che sotto controllo continuo. Il terapeuta da delle spie­gazioni durante il trattamento o lo fa soltanto alla fine? Esercita veramente da solo o lo fa all’interno di una istituzione o di un’equipe plu-ridisciplinare? Le risposte a queste domande renderanno il tipo di situazione importante al­meno quanto i sintomi o le sindromi da curare. Ciò che è certo, è che non si può fare tutto col pretesto che l’atto effettuato è legale ed è inserito nella nomenclatura di una profes­sione riconosciuta, Sicuramente è importante limitare il campo di competenza di ogni categoria professionale, ma è certo più importante sapersi limitare da soli.

In questo campo l’esperienza vissuta è inso­stituibile, non si può “fare” del rilassamento ad un’altra persona senza aver prima perso­nalmente vissuto un’esperienza di rilassamento, e non soltanto perché in questo modo si conoscerà perfettamente a livello intellettua­le la maniera di procedere; alcuni metodi non potranno essere applicati a un altro sogget­to, allorquando siano risultati inaccessibili a noi stessi.

Come ha precisato La Rochefoucauld ci­tato da Geissman e Durand de Bousingen, “quando non si trova il proprio riposo in se stessi è inutile andare a cercare altrove”.

Stevenin indicava che il rilassamento in cinesiterapia era contemporaneo alla professione, ma precisava che era sotto forma di massag­gio, di presa di coscienza del corpo, di edu­cazione gestuale, e il cinesiterapeuta doveva condurre il paziente verso uno stato di disten­sione e insegnarli a mantenerlo. È questo lo spirito stesso del testo ufficiale che autorizza il cinesiterapeuta nel suo campo di compe­tenza a utilizzare il rilassamento neuromuscolare.

Non è possibile fare delle confusioni. Durand de Bousingen e Geissman, nel loro libro sui metodi di rilassamento, precisano che « i me­todi di rilassamento sono dei procedimenti te­rapeutici ben definiti che hanno lo scopo di ottenere nell’individuo una distensione muscolare e fisica, utilizzando degli esercizi ap­propriati; la distensione neuromuscolare com­porta un « tono di riposo » che è la base della distensione fisica e psichica. Il rilassamento è quindi una tecnica che permette il riposo pio efficace e, nello stesso tempo, permette di economizzare le forze nervose che entrano in funzione durante l’attività generale dell’in­dividuo. La storia del rilassamento è una sto­ria antica che risale alla storia della Bibbia prima di Cristo, della Cina antica, dell’Egitto, e che si basa soprattutto su di una corrente orientale con lo Yoga, Veda, il Buddismo, l’Induismo e lo Zeri. La Grecia antica, con Ome­ro e Platone, ha dato il suo contributo alla storia del rilassamento, e in America, il Macumba, il Candornblé e il Vaudou sono servi-ti di base a metodi moderni.

Nel periodo dopo Gesù Cristo, da Paracelse, Mesmer, all’Abate di Farla verso il 1813 fino alla scuola di Nancy nel 1866 con Liebault e Berheim, e la scuola di Parigi con Charcot e Babinskifra il 1884 e il 1910, passando per Janet (1910-1926), siamo giunti all’epoca det­ta moderna in cui sono state elaborate tecni­che essenziali quali il training autogeno di Schultz e il metodo di Jacobson, l’uno in Eu­ropa, l’altro negli Stati Uniti pio o meno alla stessa epoca.

Questi due metodi, in particolare il training autogeno di Schultz, possono essere conside­rati come i due « metodi madre », a partire dai quali si sono costituiti gli altri più fisiologici, più sensoriali o più psicoanalitici (o psicoterapeutici). In particolare la sofrologia il cui creatore è il professore Alfonso Caycedo, che si è in­spirato ai lavori di Schultz. Ma voler amalga­mare nel tempo l’azione di due uomini è fantascienza.

Il Training Autogeno di Schultz

Schultz descrive il principio del suo metodo in questi termini: « indurre attraverso degli e­sercizi fisiologici razionali determinanti un di­stacco generalizzato della persona in questio­ne che, per analogia con le antiche constata­zioni sulla etero-ipnosi, permette tutte le realiz­zazioni proprie agli stati autenticamente sug­gestivi ». La concezione di tale metodo risale agli anni 1908-1912. Il metodo è stato riproposto indirettamente nella sua prima presen­tazione della psicoanalisi e ancora nel 1911 in un lavoro isolato riguardante la tecnica dell’ipnosi che fu ripresa nell’opera di Vogt (trat­tato di terapeutica delle malattie mentali).

Si capisce sin dall’inizio che non si tratta di un metodo di rilassamento neuromuscolare banale e non verrà pertanto utilizzato in una normale pratica di rieducazione funzionale. Infatti molto rapidamente si farà ricorso all’in­duzione di uno stato ipnotico sul malato, il quale realizzerà così un’« autoipnosi ». Que­sta autoipnosi viene provocata attraverso del­le modificazioni volontarie dello stato tonico. Ma, seguendo il principio che chi può molto può anche poco, e soprattutto partendo dal fatto che noi consideriamo questo metodo co­me uno dei metodi di base, descriveremo bre­vemente i suoi elementi essenziali.

Elementi essenziali del metodo

“Il training autogeno può essere utilizzato al­lo scopo di migliorare la condizione umana nel suo insieme. La concentrazione psico­logica ci permette di agire sul sistema neurovegetativo nel suo insieme”. (Dumont e Abrezol).

Possiamo constatare che l’applicazione di questo metodo agisce particolarmente su tut­te le malattie psicosomatiche che, cl’altronde, vengono curate con il training autogeno di Schultz o con la sofrologia (vedere oltre). Training autogeno significa esercitarsi da so­li senza l’aiuto di un’altra persona. Il terapeuta che insegna il metodo ad un paziente resta coi paziente solo provvisoriamente, unica-mente per controllare gli effetti e i progressi. Egli non è là per una psicoterapia, ma chi potrebbe certificare quanto comincia veramente una psicoterapia?

Sin dal momento in cui diventa possibile, il pa­ziente dovrà continuare il suo allenamento da solo e integrarlo nel suo modo di vivere. Il me­todo è basato sul concetto psico-fisiologico che l’uomo è un’unità dove tutto è collegato: rappresentazione mentale, idee, sentimenti, volontà, fisiologia organica si integrano e rea­giscono l’uno sull’altro.

L’allenamento autogeno ha origine nell’espe­rienza fornita dall’ipnosi. L’ipnosi pura senza altra suggestione, è uno stato di concentra­zione interna che esercita un effetto benefico e tranquillizzante. La soppressione degli sti­moli esterni può raggiungere un livello tale da permettere la realizzazione di parti e di ope­razioni con suggestione analgesica, ed è a questo punto che entriamo nel campo della sofrologia vera e propria, argomento su cui torneremo più avanti. Cosa si può ottenere attraverso l’autorilassamento e l’allenamento autogeno?

  • Ristabilire l’equilibrio psico-fisiologico.
  • Capacità di auto-tranquillizzarsi.
  • L’auto-regolazione di funzioni organiche.
  • Aumento del rendimento.
  • Soppressione o diminuzione del dolore.
  • Autocritica e padronanza di se stessi.

Come ogni disciplina, questo richiede una se­rie di esercizi dosati e distribuiti nei tempo con precisione. Essi hanno come obiettivo sei zo­ne diverse:

  • I muscoli.
  • I vasi sanguigni.
  • Il cuore.
  • La respirazione.
  • Gli organi addominali.
  • La testa.

 

Modello di una seduta

Anamnesi con contatto

Soggettiva: osservare il paziente e cercare di farsene una opinione al di là di ogni relazio­ne, certificato ecc.

Oggettiva: riposta del paziente alle domande fatte.

Chiedergli cosa sa del rilassamento, se prati­ca o conosce lo yoga, le arti marziali e, se si tratta di una donna, se ha praticato il parto indolore.

  • Conoscere le sue cose preferite, i suoi gu­sti, le malattie che lo hanno colpito precedentemente.
  • Chiedergli se è ansioso, se dorme bene, se subisce facilmente le stress…

Esercizi

Prima di cominciare farsi invadere da questa formula: “io sono calmo”.

 

1 Esercizio: rilassamento muscolare (o neuromuscolare)

Il solo esercizio utilizzabile senza pericolo nell’ambito di una rieducazione funzionale. Allor­quando ci si accontenterà di rimanere in questo stadio, non si potrà parlare di training autogeno di Schultz. Bisogna che il paziente senta la pesantezza su tutto il suo corpo, co­minciando nelle prime sedute,da un braccio, poi dalle braccia ecc…

 

2 Esercizio: rilassamento vascolare

Prima di arrivare a questo stadio il soggetto ripeterà tutta la sequenza: tranquillizzazione, peso, calore. Prima di ogni cosa bisognerà che egli scopra la « sensazione cardiaca », poi, senza influire su tale sensazione dovrà rappresentare il suo cuore che batte calmo e ferie.

 

3 Esercizio: regolazione respiratoria.

Contrariamente alla preparazione prevista da­gli esercizi fatta con delle inspirazioni-espirazioni del diaframma volontarie (che pos­sono costituire in se stesse un mezzo di rilassamento), non si effettuerà alcun movimento respiratorio volontario. Bisognerà, cioè, fare in modo che il soggetto abbia l’impressione che qualche cosa respiri in lui e che egli è « solo respirazione ».

 

4 Esercizio: regolazione degli organi addomi­nali e soprattutto del plesso solare.

Il soggetto deve sentire che il suo plesso so­lare irradia calore e non il contrario (non im­maginare, cioè, che una fonte di calore ri­scaldi la pelle, ma per alcuni, sarà necessa­rio passare da questa fase se, alla lunga l’irradiazione non è ottenuta dall’interno).

 

5 Esercizio: regolazione cefalica.

Il soggetto deve sentire una sensazione di fre­schezza stilla fronte. L’esercizio dovrà dura­re solo qualche secondo poiché a volte pos­sono insorgere delle lipotimie (leggere perdi­te di conoscenza).

N.B. Non bisognerà « volere ad ogni costo », solo la ripetizione della formula porterà allo stato voluto; (altrimenti metodo Coué); Non bi­sognerà mai « pensare con idee », ma con­templare le immagini interiori corrispondenti alle formule.

Dopo questo primo ciclo detto inferiore, la cui pratica è accessibile a dei praticanti realmente formati e sotto controllo, poche professioni pa-ramediche potranno accedere (solo gli psicomotricisti studiano durante il loro programma del secondo e dei terzo anno le tecniche di rilassamento).

A questo primo ciclo, dunque, viene ad aggiungersi il ciclo superiore che noi ci limiteremo a citare poiché è accessibile solo a medici psichiatri, psicoanalisti e psicoterapeuti. Si trat­ta infatti di una utilizzazione psicoterapica del rilassamento attraverso il training autogeno di Schultz, e inoltre questa seconda fase può es­sere messa in pratica solo dopo due anni di ciclo inferiore.

Auriot precisa: sarà competente colui che avrà vissuto una terapia personale sufficientemente lunga e profonda (di tipo analitico or­todosso o no), una esperienza di rilassamento sufficientemente profonda e prolungata (attraverso il Ta o altra tecnica) e una espe­rienza dell’immaginazione mentale persona­le approfondita.

Descrizione sommaria del ciclo superiore

Il soggetto che ha imparato a rilassarsi in mo­do rapido concentrerà gli occhi verso l’alto e verso il centro, verso il centro della fronte (prima al livello della radice del naso). Il pazien­te cercherà di percepire un colore interno (la scelta è libera e il paziente troverà il proprio colore. Si potrà, in seguito chiedere al sog­getto di rappresentarsi degli oggetti concreti per arrivare a terni astratti come « La Felici­tà », « L’Amore », « La Giustizia », ecc… Infine si interrogherà il soggetto incosciente su un certo numero di valori esistenziali, liberan­do così la formula che servirà alla persona per realizzarsi e per svilupparsi.

Tre grandi principi da applicare nel rilassamento.

1 – Non considerarsi psichiatri, ma far sentire al malato che può contare su di noi, che lo possiamo aiutare nel momento del bisogno, che c’è un contatto diretto e permanente col medico e che, quindi, al minimo malessere siamo in grado di agire per soccorrerlo.

2 – Non dimenticare che si tratta di malati, o quanto meno di persone sovraffaticate al li­mite della malattia, e, quindi, bisogna appli­care strettamente le indicazioni del medico e tenerlo al corrente di ogni cambiamento nel comportamento del paziente.

3 – Ascoltare molto il malato che ha piacere nel confidarsi, parlare poco (solo questa atti­tudine è rassicurante poiché non contiene contraddizioni).

Secondo diversi autori Schultz non ha stabili­to gli esercizi a caso (in particolare quelli del ciclo inferiore. Egli ha fatto riferimento a vari tessuti del corpo umano, più o meno vicini all’Io (alla volontà). È così che ha constatato che la muscolatura di relazione (delle membra superiori e inferiori, poi del corpo) si rilassava molto più facilmente della altre parti del corpo, poi il sistema cardiovascolare (calore attraverso i vasi e poi la regolazione cardia­ca), in seguito il sistema neurovegetativo (a cominciare dal plesso solare) nel suo insieme e infine, molto lontani dall’Io (o dalla volontà) i tessuti di sostegno (connettivo e essa). Quest’ultimo punto diventa più contestabile visto che l’ossatura viene considerata oggi come un sistema di comunicazione e di diffu­sione molto importante.

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Abbiamo lungamente descritto il metodo del training autogeno di Schultz, sottolineando che non è praticabile da persone non esper­te o insufficientemente esperte, e questo per­ché si tratta di un metodo che tutti conside­rano essere il metodo « madre » per eccellen­za a partire dai quale si potrà passare alla pra­tica, all’insegnamento e alla terapia di qual­siasi altro metodo. Durand e Bousingen nel­la prefazione all’Introduzione ai metodi di rilassamento, scrive: « Il rilassamento resta all’ordine del giorno. Il termine sembra oggi ricoprire un concetto funzionante come un an­tidoto immaginario e ideale contro i mali di un’epoca turbata, oppressa dall’angoscia da­vanti ad un futuro incerto e difficile ». Bisogna sapere che ogni metodo è, in definitiva, Un’insieme di questi diversi componenti fondamen­tali ed è la struttura di questo insieme che dovrebbe in definitiva specificare l’indicazio­ne e il campo d’applicazione preferenziale di ogni metodo.

Il Metodo di Jacobson

È teoricamente uno dei pochi metodi che i rieducatori come i M.C.R. possono esercitare in conformità alla legge, poiché il metodo di Jacobson è l’unico che è stato veramente clas­sificato come metodo di rilassamento neuromuscolare (oltre agli altri metodi da esso de­rivati).

Principio

Secondo Masson, il metodo di Jacobson ha scelto di agire sull’anello periferico del com­plesso neuromuscolare. Abbassando il tono muscolare, si riduce l’eccitabilità generale e si mette a riposo la corteccia. Sin dalla prima seduta si spiega al soggetto che i processi emozionali e mentali, o persino strettamente intellettuali, provocano delle contrazioni tran­sitorie, variabili, localizzate ai sistemi musco-lare e viscerale. Di fatto ciò che viene perse­guito in questo metodo è la capacità di con­trollare le tensioni. Risulta evidente l’utilizzazione che se ne può fare in rieducazione. Durante una mobilitazione passiva dolorosa, ad esempio, il soggetto potrà controllare le sue tensioni e quindi soffrire di meno. Nella vita di ogni giorno sarà utile controllare le pro­prie tensioni nonché controllare meglio le pro­prie emozioni. L’apprendimento di tale metodo è estremamente lungo perché necessita di una educazione cinestetica e Ionica e di un condizionamento progressivo. Se si rispettas­sero scrupolosamente i dati riguardanti la durata della seduta, dati forniteci da Jacobson, dovremmo dedicare a questo metodo una parte della nostra giornata, cosa che è totalmente incompatibile .con i ritmi della vita moderna.

 

Apprendimento breve

Wolpe propone un apprendimento dei meto­do di Jacobson in sei lezioni. Il paziente vie­ne invitato a fare a casa sua due esercizi al giorno di una durata di un quarto d’ora cia­scuno. Solitamente, nel metodo Jacobson, la prima parte del metodo consiste nel far nota­re al paziente la differenza che esiste fra un muscolo teso e il rilassamento muscolare. La prima volta, si chiede al soggetto di sollevare il polso in maniera forzata verso l’avambrac­cio per almeno una decina di secondi (insor­ge una sensazione di calore sulla parte su­periore dell’avambraccio), poi rilassare. Fare la differenza fra tensione e distensione (fig. 2). Poco a poco il soggetto impara a distinguere le più piccole tensioni dei muscoli. Ma per es­sere in grado di fare ciò, sono necessarie tre sedute alla settimana sotto controllo medico, più una o due sedute al giorno a casa pro­pria, di una durata che va dai 30 ai 60 minu­ti. Si trattava, quindi, nella sua forma originale di un metodo quasi inaccessibile. Wolpe comincia con il  rilassare le braccia: egli propone al soggetto di fare un movimento di flessione e poi di estensione opposti fra loro, (tenendo fermo il polso), in questo modo il paziente sen­te cos’è la tensione muscolare che egli do­vrà ridurre al minimo, e il terapeuta, dal suo canto, diminuirà la forza di resistenza. Siamo nella tecnica attiva-passiva molto ben cono­sciuta dai M.C.R. In seguito abbiamo un pro­tocollo ben preciso messo a punto da Wolpe.

 

Il protocollo di Wolpe

La 1 tappa è classicamente la distensione del­le braccia.

La 2 tappa è la distensione delle gambe (co­minciare dalla estensione e flessibile delle di­ta dei piedi: rilassare bruscamente, in seguito si rilasserà progressivamente).

La 3 tappa è quella della respirazione con il controllo e la presa di coscienza della tensio­ne della gabbia toracica durante l’inspirazio­ne, e la distensione di essa durante l’espi­razione.

La 4 tappa è la distensione della fronte. Si tratta di una tappa fondamentale poiché la fron­te corrisponde spesso a quella zona « chiave » il cui rilassamento comporta il rilassamento generalizzato di tutto il corpo (per al­tri individui, questa zona si troverà nelle mani, nei piedi, nel viso ecc…).

La 5 tappa è la distensione degli occhi: la mobilizzazione attiva degli occhi seguita dal rilassamento è molto importante.

La 6 tappa è quella della distensione dei mu­scoli della sfera vocale. Il soggetto conterà fi­no a dieci ad alla voce (ad occhi chiusi), poi conterà di nuovo mormorando, poi conterà col pensiero fino a rendersi conto, che non avendo contato, c’è un rilassamento dell’or­gano vocale.

Jacobson insegna ai suoi pazienti a fare una distinzione fra ciò che egli chiama « tenseness » che è la sensazione di tensione muscolare collegata fisiologicamente a una contra­zione e la sensazione di « strain » che è la sen­sazione di stiramento dei tendini o dei legamenti a livello delle articolazioni. Bisogna ri­cordare delle ricerche fatte da Jacobson sui sussulti nervosi, in seguito a un lavoro svolto da un autore Francese, Fouillée, sui sussulti involontari nell’uomo. Jacobson voleva dimo­strare cime un rumore inatteso provocava dei sussulti involontari dovuti al transfert dell’ener­gia psichica nel campo fisico. Questa osser­vazione era presa direttamente dalla corrente psicoanalitica allora agli inizi. I rapporti con la psicoanalisi si fermano qui poiché questa osservazione non avrà buon esito per autore.

Conclusione sui metodi fondamentali (car­dinali)

Intendiamo, a questo punto, sottolineare la coincidenza nel tempo (1908) delle ricerche di Schultz in Germania e di Jacobson negli Stati Uniti. Soprattutto è importante notare la differenza fra questi due metodi “madre”. In­fatti, il training autogeno di Schultz è un me­todo autosuggestivo e quindi derivante dall’ipnosi, mentre quello di Jacobson è un me­todo suggestivo senza relazione diretta con l’ipnosi.

L’influenza delle correnti di pensiero e di vi­ta di tipo orientale

L’apparizione di questi due tipi di metodi è certamente dovuta a tutta una corrente di pensiero e di vita di tipo orientale di cui non possiamo non parlare. Si tratta, in origine, di correnti religiose di cui si terranno in consi­derazione solo gli elementi utili all’approccio e alla comprensione dell’uomo per poterlo, in seguito, curarle.

Del Veda si riterrà solo il principio unico che è all’origine del mondo, da cui deriva la cele­bre equazione « Tat tuan asi » = tu sei que­sto. I riti e la magia permettevano di agire in modo inconscio sulla psiche degli uomini.

Dall’induismo prenderemo in considerazione la fede nella predestinazione: « ciò che dovrà essere sarà ». Il tempo è considerato come un eterno ritorno. Gli induisti credono nella reincarnazione e tutto ciò che si è acquisito in una vita si ritroverà come già assimilato in una vita successiva.

Il Buddismo è praticato in molte regione del­l’Asia (come pure in Birmania in Cina e in Giappone). Il fine supremo, nel Buddismo, è quello di raggiungere il nirvana (la liberazio­ne totale dei legami con il mondo). Anche i buddisti credono nella reincarnazione. La dot­trina del Buddismo è basata sulla sofferenza umana. Lo schema a otto tappe è l’elemento di base che tende a liberare l’uomo. Abrezol lo riassume in questo modo:

  • devi vedere prima chiaramente dov’è il male;
  • poi devi decidere di guarire;
  • devi agire!,
  • il tuo modo di vita non deve essere in con­traddizione con questo tipo di cura;
  • questa cura deve essere seguita secon­do un ritmo sopportabile; devi pensare continuamente;
  • devi imparare a meditare con il tuo spirito profondo.

Lo Zen viene dalla parola Sanscrito « dhyna » che significa meditazione o più esattamente « contemplazione » che conduce ad un più  alto grado di coscienza, unione con la realtà. Tutta la cultura del Giappone è impregnata dei precetti dello Zen. Infatti, le arti marziali, in particolare l’aikido, il soruji kempo, e dei metodi di origini cinese come il tai chi chuan, sono influenzati da questa sorta di filosofia « alla giapponese ». La meditazione trascendentale e i metodi sensoriali di rilassamento devono molto a questa corrente. L’uomo non cerca di diventare un santo, ma di diventare ciò che è realmente scoprendo il suo vero IO.

 

L’ipnosi

Della storia dell’ipnosi, molto importante in Francia e in Europa, prenderemo in consi­derazione solo i grandi nomi e le tendenze più importanti. Mesmer e il magnetismo, ad esempio, la cui tesi riguarda « l’influenza de­gli astri e dei pianeti nella guarigione delle ma­lattie ». Dalla calamita egli arrivò al magneti­smo animale.

Chasteret de Puysegur, discepolo famoso di Mesmer, scopri che il fluido agiva anche con una sorta di sonno artificiale detto sonnambulismo, durante il quale «le idee e le azioni del soggetto magnetizzato potevano essere dirette dall’ipnotizzatore».

Senza definire la teoria del sonnambulismo, riuscì a valorizza­re la relazione ipnotica e la suggestibilità del soggetto in ipnosi. Nel 1850 le ricerche si orientano verso l’utilizzazione dell’ipnosi per l’anestesia (Broca Velpeau Cloquet ecc…). Con Liebault, viene fuori l’idea che l’ipnosi è una relazione da persona a persona e non l’emissione di una sostanza misteriosa. Il gran­de periodo dell’ipnosi andrà da Charcot-Bereheim-Janet (1878-1893). Bisogna anche segnalare il periodo detto di Freud e dell’ipno­si in cui, Freud, dopo essersi interessato al metodo catartico utilizzato da Breuer (caso di Anna O…), facendo raccontare nei dettagli gli episodi della sua vita, e scatenando vere e proprie « epurazioni » emozionali, passò ad una tecnica di «concentrazione», seguita dal metodo catartico, pur continuando a ricono­scere l’importanza della suggestione. Questo studio sul’ipnosi gli permise di cogliere l’inte­resse del sogno. Furono, poi, soprattutto i suoi allievi come Ferenczi, che formarono la scuola psicoanalitica sull’ipnosi.

Ricerche moderne sull’ipnosi

L’ipnosi viene considerata dagli psicoanalisti come una modalità massiccia del transfert. Lo Yoga, il sogno da sveglio diretto, i diversi metodi di rilassamento sono delle utilizzazioni della concentrazione mentale con degli ele­menti proprio ed esterocettivi afferenti che li avvicinano all’ipnosi. Il concetto importante da tenere presente in questi metodi è che ogni malato tende a regredire verso una posizio­ne di dipendenza infantile.

Altri metodi e metodi più recenti

In questa parte vorremmo trattare rapidamen­te i metodi derivati da Schultz o metodi autosuggestivi, passando per l’ipnosi, i metodi parzialmente suggestivi come la RDCI di Caycedo o primo grado del rilassamento dinami­co di Caycedo, creatore della Sofrologia, e i metodi non suggestivi come quello di Jacobson, l’eutonia di Gerda Alexander e anche la RDCII e RDCIII di Caycedo. Lo schema mo­dificato dei metodi di rilassamento di Abrezol ci permette di vedere come tutti i metodi contemporanei tratti dal Veda, dall’Induismo, dal Buddismo e dallo Zen e tutte le arti marziali, hanno contribuito alla costituzione dei meto­di di rilassamento con l’influenza iniziale dell’ipnosi, poi, con minore influenza di quest’ul­tima e infine senza influenza della stessa. Ma, si può veramente dire che nella relazione terapeuta-paziente,viene esclusa ogni sug­gestione?

Metodi autosuggestivi

Dopo il training autogeno classico di Schultz, abbiamo l’utilizzazione psicoterapica del rilassamento.

A partire dal 2 ciclo del Training  autogeno di  Schultz:

  • Questa utilizzazione la ritroviamo nella tec­nica di Virel o oniroterapia dove la tecni­ca delle immagini mentale vicina al Redd o sogno ad occhi aperti diretto da Desolile con delle sedute sul divano e sedute su poltrona. La ritroviamo ancora nell’ipnosi attiva graduata o frazionata di Kretschmer e Langen dove si arriva al rilassamento per pesantezza e calore come nella pri­ma parte del training autogeno di Schultz, poi si passa, alla riflessione del pollice del terapeuta. E un metodo essenzialmente medico condotto in maniera direttiva con l’analisi dei conflitti e della loro origine; vi si associa una cura medica specialistica, ed è un metodo spesso vincente nei casi di alcolismo grave o nei casi di soggetti sull’orlo della psicosi.

Rieducazione psicotonica di De Ajunaguerra o esercizio psicofisiologico:

  • Questo metodo si poggia essenzialmen­te su due i:unzioni:
  • la funzione Ionica;
  • l’aspetto psicoterapico.

La funzione tonica

Essa tiene conto dello psichismo del sogget­to (in particolare del bambino) e del dialogo tonico-emozionale messo ad epigrafe da Wallon. Questo dialogo mette in funzione la mo­bilità il tono e la plasticità del soggetto. Se tra il bambino e la madre (o il suo sostituto) non si instaura questo dialogo Ionico, lo psichismo come pure il tono del bambino potrebbero es­serne compromessi. Questa ipotesi è corroborata dalle ricerche di Reich il quale constata che, parallelamente alla costituzione di una « corazza carattedale », ogni individuo forgia la propria corazza muscolare di cui l’iperto-nia è una manifestazione. La funzione tonica è uno stato di preparazione della muscolatura che la rende capace di molteplici forme di attività. La funzione tonico-posturale è dunque « la funzione di comunicazione, essenziale, traverso la quale, il bambino da e riceve.

Il metodo

Tale metodo è il punto di convergenza fra training autogeno di Schultz e il rilassamento differenziate di Jacobson. Esso ha un doppio riferimento psichico e fisiologico del tono e un riferimento analitico. Il ruolo dell’educatore sa­rà quello di calmare la tensione toracica con delle tecniche che agiscono per il corpo e attra­verso il corpo, modificando, così, tutta la fun­zione tonica muscolare e viscerale. Attraverso una paziente e lunga rieducazione del corpo, si ristabilirà un dialogo tonico con lui, con l’ambiente e con gli altri. La rieducazione psicotonica di Aiuriaguerra fa dunque ri­ferimento alla psicoanalisi poiché essa ha un fine terapeutico. Ci si richiama a questa teoria nella misura in cui, il corpo viene implicato « nella regressione prodotta dal rilassamento-regressione che facilita l’insorgere di fantasmi arcaici », esattamente come nel ciclo superio­re del training autogeno di Schultz. Questa regressione è resa possibile grazie alla tecnica utilizzala, ma soprattutto grazie alla situazio­ne di transfert stabilita attraverso la relazione terapeuta-paziente. De Ajuriaguerra utilizze­rà la verbalizzazione al fine di prendere co­scienza che al di là della tecnica, della regressione e del transfert, c’è una dimensio­ne corporea sotto influenza tonica (o tonico-emozionale) ma fantasmatica. La novità non consiste tanto nei concetti indicali sopra, con­certi che ritroviamo nella maggior parte dei metodi di rilassamento a scopo terapeutico, quanto nella verbalizzazione e nella compren­sione dei concetti. Il terapeuta avrà così un ruolo pedagogico ma anche un ruolo di os­servazione e di aiuto. Egli insegnerà al pazien­te come sentire le nuove sensazioni corporee toniche, e il suo atteggiamento sarà il più neu­tro possibile al limite della benevolenza. In un secondo momento, il terapeuta, diventa l’os­servatore privilegiato e benevolo ma non interviene e il fatto che egli non intervenga allontana la possibilità di suggestioni tocca ai paziente prendere coscienza da solo delle tensioni che persistono o che riappaiono, del­le resistenze toniche che riflettono delle resistenze e dei conflitti psichici profondi. Infine, il terapeuta permetterà al paziente di essere autonomo nella vita. Gli insegnerà come conoscere in modo differenziato « le sue reazioni toniche alle diverse circostanze della vita e a prevenire gli atteggiamenti non armoniosi, patologici, adottando degli atteggiamenti tonici nuovi ». Allo scopo di « eliminare » la situazio­ne di transfert, gli farà osservare i propri movimenti affettivi, attraverso le sue personali. reazioni toniche.

Svolgimento della cura

Ritroviamo le stesse sequenze del training au-togeno di Schultz:

  • pesantezza
  • calore
  • regolazione cardiaca
  • regolazione respiratoria
  • viscere
  • plesso
  • freschezza sulla fronte

nello stesso tempo verranno utilizzati gli eser­cizi di contrazione-rilassamento e la presa di coscienza della ricerca dell’ipotensione mini­ma, come nel rilassamento differenziale di Jacobson. La cura si svolge in tre fasi:

  • fase in cui si mira a ottenere l’ipotonia muscolare attraverso gli esercizi citati sopra;
  • fase dell’acquisizione del controllo tonico attraverso l’utilizzazione del tono muscolare minimo, imposto dalla situazione;
  • fase dell’acquisizione di un vero e proprio controllo tonico-emozionale. Va notato che Ajuriaguerra lavora con molta prudenza nella zona della nuca e del collo che so­no, in genere, sede di resistenze notevoli.

La posizione del collo fa parte integrante di tutti i rapporti sociali e le reazioni di prestan­za a questo livello sono frequenti. Ajuriaguerra è molto prudente anche nella fase di regola­zione cardiaca che può essere oggetto di somatizzazioni notevoli. « Il rilassamento psico-tonico di Ajuriaguerra altro non è che questa paziente rieducazione dei tono realizzata at­traverso una relazione terapeutica ».

Metodi psicoterapici di rilassamento

(Sapir, Canet, Philbert, Prevost, Reverchun) Il rilassamento, così come lo intendevano que­sti autori in senso psicoanalitico, è basato sul­le stesse funzioni utilizzate da Schultz: tono muscolare, vasomotricità, respirazione, battiti cardio-arteriosi, ecc… Come nel metodo di Schultz, si utilizzano delle induzioni di tipo sug­gestivo ma, invece di dare delle consegne brevi (come per l’ipnosi), si fa un vero e pro­prio discorso variandolo da una volta all’altra nel tentativo di svegliare nel paziente una fantasticazione. Schematicamente si possono di­stinguere delle induzioni di questo tipo:

  • di tipo ossessivo minuzioso in cui si descri­ve ogni dettaglio anatomico in modo in­solito;
  • il modo erotizzante, evocando delle sen­sazioni più che delle descrizioni dell’organo.

Questo metodo è riservato agli specialisti nella misura in cui può produrre delle regressioni fulminee e tradursi in comportamenti e parole.

I diversi training autogeni modificati o composti

Si tratta di varianti del training autogeno di Schultz. Gli autori di tali metodi hanno deciso di utilizzare lo stesso termine usato da Schultz poiché si sono serviti degli stessi principi di base.

Metodi parzialmente suggestivi

Nell’ambito di quest’articolo ci soffermeremo solo sul RDCI di Caycedo in sofrologia.

Il rilassamento dinamico di Caycedo compor­ta tre livelli, il primo dei quali si può situare nell’ambito dei metodi parzialmente suggesti­vi, e gli altri due in quello dei metodi non sug­gestivi. Il termine « sofrologia » viene dal Gre­co Sos (armonia), Phren (spirito), Logos (stu­dio), e quindi vuol dire « Studio della coscien­za in armonia ». Alfonso Caycedo conferì originalità a questo metodo a partire dal 1960, derivandolo dall’ipnosi, dal TA di Schultz e dal metodo di Jacobson. La sofrologia studia la coscienza umana partendo da una differen­za di concetti, fra livelli e stati di coscienza (vedere lo schema di Abrezol). La modificazione degli stati di coscienza si fa attraverso la sofronizzazione. Il primo livello di questo me­todo riguarda essenzialmente degli esercizi respiratori, alternandoli con dei movimenti rit-mati e del rilassamento in piedi. Il protocol­lo è proprio del metodo e non può che inco­raggiare il lettore a praticarlo, se quest’ultimo vuole impararlo. Da sottolineare il fatto che Caycedo oltre al Collegio Dei Medici, ha crea­to il Collegio Degli Psicologi e quello dei Cinesiterapeuti.

Oltre agli esercizi respiratori e al rilassamen-to in piedi, nel primo livello troveremo an­che degli esercizi di meditazione sofrologica ispirati dalla tecnica Dhyana degli Orienta­li: « concentrazione su un oggetto neutro, poi ricordo passivo dell’oggetto della concen­trazione ».

Si arriverà, poi, alla sofronizzazione semplice in piedi con l’utilizzazione del « terpns logos » esplicativo (per un rilassamento di recupero in piedi- RRI), e infine, dopo un rilassamento di recupero seduti o in posizione distesa del corpo, si cercherà di arrivare a una sofro-accettazione progressiva e a una sofronizzazione semplice in posizione di decubito dorsale. Si utilizzano induzioni attraverso il « terpnos logos » (consegne date al paziente con voce lenta e di preferenza bassa).

Metodi non suggestivi

Abbiamo, precedentemente, dato dei detta­gli sul metodo di Jacobson e su quello di Wolpe staccandoli dai metodi quali il RDC II e III in sofrologia di Caycedo. Ora, daremo qual­che esempio di metodi che derivano diretta­mente dal metodo di Jacobson come il metodo di Jarreau e Klotz.

I diversi metodi

Nonostante ciò, dovremmo fare una lunga de­scrizione su:

  • il metodo Orlic;
  • i metodi sensoriali;
  • il metodo Vittoz;
  • il metodo Feldenkreis;
  • l’eutonia di Gerda Alexander;
  • il biofeedback;

tanto più che la maggior parte di questi me­todi, poiché essi sono non suggestivi, fa par­te delle competenze di ogni rieducatore, visto che durante i loro studi questi metodi vengo­no vissuti personalmente da essi.

Il rilassamento analitico di Jarreau et Klotz

Gli autori stessi affermano di essersi ispirati alle tecniche di Schultz e di Jacobson. Di Schultz, essi utilizzano la pesantezza e di Jacobson utilizzano il principio razionale di interdipendenza fra tono e tensione psicoaffettiva. Questo metodo comporta degli esercizi di rilassamento veri e propri, con l’appli­cazione successiva nella vita attiva della ca­pacità di rilassarsi così acquisita.

Gli esercizi di rilassamento sono essenzial­mente basati sulla pesantezza e sulle nozioni di rilassamento differenziale (tensione e di­stensione) di Jacobson.

Applicazione del rilassamento nella vita atti­va: al paziente vengono fatti fare degli eser­cizi di lettura, scrittura e di elocuzione in stato di distensione. Inoltre, gli autori insegnano de­gli esercizi di « rilassamento in movimento », detto anche « rilassamento cinetico » ispirati da Martenot. In caso di soggetti che sono im­possibilitati a rilassare un arto o una parte di esso, si praticano delle manovre somatiche e una psicoterapia (di sostegno) verbale.

Il paziente arriva ad avere una conoscenza « topografica generalizzata del suo vissuto to­nico emozionale ». Gli autori ritengono che questo aspetto analitico del vissuto psico­somatico meriti di essere coltivato e appro­fondito.

Limitandosi all’aspetto tonico delle difese del malato, questo metodo è accessibile ai prati­canti non avvezzi alle discipline della psicoterapia, ed è accessibile a quei numerosi malati che all’inizio rifiutano un approccio ver­bale dei loro problemi!

Conclusioni

Si potrebbe dire che non passa anno, o ad­dirittura giorno, senza che emerga un nuovo metodo « di rilassamento », ragion per cui il nostro articolo comporta delle lacune quali la musicoterapia, molto di moda attualmente, ma, se si volesse parlare di musicoterapia, bi­sognerebbe parlare anche di massaggi, di idroterapia, di vibrazioni ecc.. Nonostante ciò, in conclusione, mi piacerebbe riprendere la formula di Durand de Bousingen nel suo li­bro: « Introduzione ai metodi di rilassamento del Dottor Bernard Auriol » (libro di cui mi so­no servito spesso per la sua semplicità oltre che per la sua visione completa, a volte giu­stamente critica, nelle originali note di fine capitolo): «Conviene ricordare, tuttavia, che ogni metodo ha il suo valore per colui che lo applica».

 

Da Rivista L’insegnante specializzato, 1/93

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