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MARCELLA MATTEUCCi GUIDO PESCI[/pt_text]

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Incontrare un soggetto disgrafico che frequenta la scuola media superiore può sembrare un avvenimento isolato, ma non è così. Il numero dei sog­getti disgrafici, che non riescono a comunicare segnicamente il proprio pensiero, non è indifferen­te e ciò testimonia quanto alla scuola, si impone di recuperare in esercizio alle discipline psicologiche oltre che metodologico-didattiche ed acquisire abi­lità preventive.

Parlare di involuzione pedagogica potrà apparire offensivo, ma è certo che nel 1800, di fronte ad un soggetto disgrafico, l’insegnante curriculare — e non l’insegnante specializzato — aveva una formazione che gli permetteva di fronteggiare i problemi che sottacevano alla disgrafia e non certo si limitava a far leggere allo scolaro il contenuto scrittorio che lui non era in grado di decifrare.

Già cento anno fa il maestro si proponeva di ovvia­re alla disgrafia facendo realizzare dei segni « rap­presentanti» contorni semplici e facili, che richiamavano all’occhio e alla immaginazione qualcosa di cosciente. A quell’epoca si voleva che i sog­getti in difficoltà utilizzassero modelli con cui agire in apprendimento di forme, grossezze, inclinazio­ni, ecc., facessero esperienze euritmiche sulle pro­porzioni, vivessero esperienze motorie per affinare la mano e l’occhio e la spontaneità del gesto.

Nei primi del ‘900 l’avvio ai contenuti operativi del­la metodologia e della didattica per il recupero del disgrafico si fa sempre più consistente fermi in un principio che « la scuola è fatta per la generalità e deve badare specialmente e con particolare cura ai tardi, presentando loro la materia e gli esercizi in modo più semplice e più facilmente assimilabile ». È un lontano passato in cui, però, la diligenza per risolvere gli impacci e le inadeguatezze nel la­sciare traccia segnica, non venne meno. In quel­l’epoca la ricerca approdò alle dande o mezzi sussidiari e, fra questi, particolare interesse suscitarono il quaderno metodico, la falsariga e il siste­ma del calco. Il quaderno metodico era un qua­derno che presentava la traccia del modello a po­co a poco diradante, e sulla quale « il fanciullo, ri­passando, viene ad esercitarsi ». Il sistema della falsariga era un accorgimento col quale si aiutava l’imitazione del modello con una serie di rette de­terminanti l’altezza, la durezza e la larghezza delle lettere, li sistema del calco consisteva, invece, nel copiare un modello ripassando con lo strumento tracciante non più sulla traccia a filo come nel qua­derno metodico, ma sulla traccia risultante per tra­sparenza del modello sottoposto al foglio in cui si scriveva.

Anche il disegno con il gesso alla lavagna era uti­lizzato per acquisire abilità segnico-grafica facendo esperienze nell’uso del gesso tenuto ora di punta, ora di base ed ora di costa, strisciandolo e ruotandolo.

Si potrebbe continuare a lungo nella descrizione di esercizi in uso degli insegnanti tanti anni or sono per fronteggiare la disgrafia, ma si suppone che questi accenni siano già testimoniali dell’impegno di allora. E l’impegno di oggi?

Purtroppo, oggi, possiamo trovarci davanti un sog­getto disgrafico di 17 anni senza che sia mai stata fatta o almeno tentata un’opera di prevenzione ef­ficace; un disimpegno della scuola che, non solo, ha mantenuto intatto il disagio segnico, ma ha pro­dotto nel soggetto un ovvia nevrotizzazione.

È di questo soggetto che argomenteremo qui di se­guito e per il quale non abbiamo più potuto limitarci ad un intervento pedagogico clinico ma siamo stati costretti ad intervenire con un trattamento integra­to: pedagogico-clinico e psicoterapeutico.

Il giovanotto si è presentato al nostro centro[1] in­dirizzato da insegnanti responsabili, perché disgrafico.

Verifica pedagogico clinica:

Storicità

Parto eutocico a termine. Evoluzione motoria e del linguaggio dichiarata nel­la norma.

Ha frequentato la scuola materna manifestando già allora qualche impaccio segnico-grafico che ha mantenuto fino ad oggi « per non avere fatto eser­cizi riparatori ».

Durante l’iter scolastico la madre riferisce che « ci sono stati molti momenti di crisi dovuti alla scrittura intraducibile, tanto che per certi periodi si è rifiuta­to di scrivere ».

 

Verifica senso-percettiva

Questa indagine sui processi attivi, del prendere co­scienza e analizzare la struttura (riconoscimento di forme, di colori, riconoscimento spaziale) non ha prodotto nessuna rilevazione di sintomi comportamentali deficitari.

Verifica psicomotoria

L’ampia indagine psicomotoria che prescrive l’uti­lizzo di alcuni parametri della semiotica (controllo tonico-motorio, motilità, tattilità, schema posturale, coordinazione, equilibrio, associazione percettivo-motoria, organizzazione e strutturazione dello spa­zio, organizzazione e strutturazione temporale e spazio temporale, conoscenza delle dita e abilità manuale, lateralizzazione, respirazione, vista e oculomozione) ha permesso di rilevare:

  • difficoltà nell’equilibrio statico;
  • notevoli tensioni neuromuscolari che impediva­no al soggetto di raccogliere una adeguata « détente »;
  • disordine nel dinamismo respiratorio;
  • accentuata frequenza respiratoria.

Verifica grafo-motoria

In questo percorso di osservazione si è voluto in­dagare sulla capacità del soggetto nella riproduzione di modelli, sulla funzionalità globale della postura, sulla maturità della pinza e l’apporto dei movimenti di sostegno, ecc. L’approfondimento obiettivo può trovare consensi dalla postura grafica, dagli stru­menti traccianti privilegiati o rifiutati, dall’impugna­tura, dalla prensione e pressione, dal tracciato segnico. In questa area di indagine abbiamo potu­to rilevare nel soggetto un disordine nel dinamismo grafico-scrittorio e la perdita totale delle abilità a scrivere in corsivo. Gli impacci grafo-segnici sono stati evidenziati anche nella rappresentazione pittografo-figurativa (Fig. 1).

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La produzione grafica, in quell’unica modalità segnica con cui il soggetto si esprimeva, veniva cosi rappresentata:

Test psicologici

Nonostante la consistenza delle prove finora indi­cate ed utilizzate durante l’approccio diagnostico-clinico, reputammo che non fossero sufficienti a ren­dere esaustivo il percorso diagnostico e, per que­sto abbiamo utilizzato sia i reattivi che non implicano prove grafiche che reattivi che implicano prove grafiche.

Tra i primi hanno trovato posto il test di ritenzione visiva del Lalaume, il test di discriminazione visiva e di attenzione del Banissoni, il test di discrimina­zione visiva, orientamento e di attenzione di Toulouse e Pieron, il test B43 di ragionamento e strutturazione spaziale del Bennardel, il test di imitazione dei gesti del Berge e Lézine, di orientamento DS/SN del Galifret, di produzione ritmica della Stambak.

Trai test che implicano prove grafiche vennero utilizzati il test di figure complesse del Rey, e il test dei labirinti.

In ciascuno dei test menzionati non avemmo mai risposte inadeguate degne di rilievo.

L’osservazione diretta « in azione » e « in contatto » venne integrata da esami complementari per un approfondimento tra le variabili di personalità e sul vello mentale.

Gli esami sul livello mentale (fattore G) hanno visto utilizzato il test PM47, da cui emerse una seppur lieve superdotazione.

I test proiettivi utilizzati per la conoscenza della per­sonalità furono:

  • Test di Koch (un solo graphonage): inibizione, blocco affettivo, sentimenti di inferiorità, debolezza dell’Io. Ansia e agitazione contrastavano il bisogno di farsi valere, la volontà e l’orgoglio;
  • Color-test: il soggetto considerava che le cir­costanze fossero sfavorevoli, tanto da spinger­lo a rinunciare alle gioie ed ai piaceri, pur intendendo, comunque di voler fare buona impressione. Il soggetto percepiva intorno a sé una generale mancanza di stima. Le delusioni lo ave­vano portato ad un sospettoso isolamento da­gli altri e a rinchiudersi in se stesso. Frenato il suo innato entusiasmo e la sua natura immagi­nativa;
  • 16 PF: i fattori della personalità lo proponevano come un soggetto autoinsufficiente, dipenden­te, con un’alta tensione ergica.

L’indagine sulla semiotica affettiva, permise di rile­vare inoltre:

  • precipitazione elocutoria, inseguita da una costante gestualità;
  • note di incheccamento durante la decodifica scrittoria;
  • tonalità della voce molto elevata;
  • notevoli difficoltà nell’interazione con gli altri.

Per una situazione così complessa, come del resto è complessa ogni situazione propria di tutti i soggetti disgrafici, gli interventi ipotizzati idonei al re­cupero si sono espressi per una terapia integrata: pedagogia clinica e psicoterapia.

Intervento pedagogico clinico

L’intervento pedagogico-clinico ha basato il suo interesse:

  • sulla postura;
  • sulla ricerca dell’asse corporeo;
  • sulla espressione tonematica;
  • sul dinamismo respiratorio e ritmico-cinetico-segnico.

La costruzione del segno, inizialmente, ha fissato un interesse sulla scrittura in stampatello e successivamente in corsivo.

Gli incontri prevedevano:

  • il colloquio condotto in un dinamismo suggestopedico;
  • la partecipazione a tecniche di rilassamento
  • l’avviamento alla esperienza gestuale e grafo-scrittoria.

I presupposti suggestopedici non li richiamiamo, poiché sono già stati ampiamente trattati in G. Pesci, riv. L’insegnante specializzato n 1/85 e in G. Pesci, Difficoltà di linguaggio e integrazione scola­stica, Bulzoni, Roma 1991.

È comunque nel setting suggestopedico che è sta­to possibile favorire:

  • un adeguamento tonematico, con dichiarazioni
  • psicocibernetiche;
  • un arricchimento espositivo, stimolato da asso­ciazioni libere, articolate su parole stimolo.

Il rilassamento è stato favorito per mezzo di un training verbalizzato in un costrutto eclettico fra le tec­niche Jacobson, Schultz e gli indirizzi Suggeriti da G. Pesci in Dalla diagnosi funzionale al piano edu­cativo individualizzato, Bulzoni, Roma 1989. L’esperienza gestuale si è basata sui suggerimen­ti della Martenot, e della Thea Bugnet ed in parti­colare sono stati accolti gli orientamenti della tecni­ca Orlic, che ha per scopo di conferire al corpo il suo pieno valore esistenziale, un valore che inse­gue attraverso le tappe della presa di coscienza di sé, della strutturazione e integrazione di sé, dell’espressione di sé e dell’integrazione sociale. L’espe­rienza grafo-scrittoria si basava altresì sui presup­posti di un vissuto ritmico e propriocettivo innescati a seguito della scrittura spontanea, della scrittura su dettatura o copia, di frasi pensate dal soggetto, con l’ausilio del metronomo, scrittura in verticale e cieca, scrittura con pausa e rilettura della parola scritta.

A seguito di queste attenzioni e sollecitazioni la scrittura in stampatello dopo un mese si presen­tava assai più traducibile mentre il corsivo con cui iniziava di nuovo a confrontarsi dopo tanti an­ni, era:

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Intervento psicoterapeutico

Le caratteristiche peculiari del soggetto, emerse dal­la diagnosi, hanno permesso di agire con incisività sui problemi di base. Facilitata nel paziente la com­prensione della natura e degli scopi della psicoterapia breve, venne raggiunta l’alleanza, ossia l’accettazione del « contratto » per l’accesso ad una ipotesi classica, immediatamente seguita da quel­la fantasmatica.

Mediante la tecnica ipnotica classica si è trattato di indurre il soggetto in un particolare stato psicofisico, in culi poteri razionali di critica fossero allentati, per influire sulle sue condizioni psichiche e psico­somatiche.

La trance venne raggiunta, le prime volte, per mez­zo di un rilassamento progressivo e, successivamente, resa immediata per l’osservanza da parte del paziente di un ordine post-ipnotico. In trance al soggetto vennero offerte suggestioni specifiche, alimentate dal messaggio linguistico, con il ricorso pu­re ad rielaborazioni immaginarie di azioni della vita quotidiana, nelle quali il paziente riusciva a realizzarsi ed affermarsi. Queste suggestioni avevano lo scopo, di elevare il tono dell’umore, offrire autoriducia, e convertire gli atteggiamenti di rinuncia e di rassegnazione, in atteggiamenti costruttivi e attivi. Il messaggio linguistico, le ipnosuggestioni, le im­maginazioni coscienti e il simbolismo centrato sul­l’io erano sicuramente utili per un soggetto, i cui modi di essere e di esistere lo definivano indeciso, con sentimenti di inferiorità, dipendente, ecc., ma si trattava ancor più di modificare il fondo fantasmatico e, per questo, era necessario un lavoro sull’im­magine.

L’immagine rappresenta la linea di congiunzione fra il pensiero e il sentimento. Immaginare qualcosa è prepararsi ad essa, per realizzarsi nell’agire, ed il lavoro sull’immagine offre occasioni di implicazioni perfezionanti e maturanti la sfera affettivo-volitiva.

Le tecniche di ipnosi fantasmatica hanno l’oppor­tunità di riferirsi a qualcosa di più profondo rispetto ai suggerimenti verbali e di geneticamente più precoce: le « imagos », per questo la modificazione del fondo fantasmatico ha come significato una trasformazione stabile della struttura della perso­nalità.

Il soggetto da noi seguito non ha mancato di darci conferme al lavoro incrociato che stavamo attuan­do, tanto che dopo 4 mesi aveva conquistata que­sta grafia (Fig. 3).

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Ma la crescita personale del soggetto non è solo rappresentata dalla scrittura raggiunta dopo 4 me­si, egli è pure capace di vincere gli ostacoli, ha la pretesa di decisioni autonome e non dipende più dalla buona volontà degli altri.

Al Color-test (prova di verifica) si dichiara infatti co­me soggetto capace di vincere ostacoli e opposi­zioni e pretende decisioni autonome. Vuole perse­guire i suoi obiettivi con costanza e con spirito di iniziativa e non dipendere dalla buona volontà de­gli altri. Le proiezioni del test sono confermate del resto dalla vita di relazione, il soggetto si mostra si­curo, ha trovato amicizie e strutturato con queste ottima intesa, i suoi studi lo collocano tra i primi della classe.

Da Rivista L’insegnante specializzato 3/91

ISFAR viale Europa 185/b Firenze, info@isfar-firenze.it, www.isfar-firenze.it

[1] CESAPP Centro Studi Applicazioni Pedagogiche e Psicolo­giche – Viale Michelangelo 84/A – Bibbiena (AR).

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