Se l’allievo è una persona complessa, e per conoscerlo occorre rilevarne le Potenzialità, le Abilità e le Disponibilità, come richiede la Pedagogia Clinica, rimane difficile comprendere perché gli specialisti della sanità si limitino esclusivamente a rilevare le insufficienti abilità degli allievi con metodi di valutazione puramente quantitativi usando misurazioni, graduazioni e scale utilizzate come se dovessero dare risposte a problemi di proporzione e a fenomeni da interpretare e tradurre in uno schema “più – meno”.
Nel procedere al dépistage essi si basano su sistemi di classificazione dei disordini secondo particolari “rubriche”, e ciò forse spiega il perché scattano le etichette di “dislessico”, “disgrafico”, “disortografico”, o “discalculico” seguite da interventi patologico-terapeutici adattati all’ortopedia psichica e alla cultura sensoriale in termini rozzamente organici, indirizzati solo al separatismo e al silenzio grottesco fino a perdere di vista il confine tra l’ammaestramento e la vera educazione, tra l’educazione e l’approccio zoologico dell’allievo. Quel trattamento che, sulla base della diagnosi, della presa in carico e del progetto riabilitativo, sulla scia della moda del passato, ha ritenuto fino a ieri l’insostituibilità delle schede, le tante schede utilizzate facendo stare seduti, e che oggi, sempre seduti davanti ad un “banchino differenziale”, propone agli alunni la compagnia di hardware e software. Una pedagogia separatista quindi, e perciò un’anti-pedagogia, seguita per tutti coloro che, con sistemi computerizzati di valutazione psicometrica, vengono individuati “dis”.
Per conoscere l’allievo occorre uno studio dinamico che richiede di non limitarsi alla constatazione della gravità del deficit ma, immancabilmente deve includere il calcolo dei processi compensatori-sostitutivi, integrativi e correttivi dello sviluppo e del comportamento e prendere in considerazione i momenti della sua vita trascorsa e le sue esigenze di essere sociale, in altri termini, la sua realizzazione socio-psicologica. Si tratta di analizzare la persona non solo come fenomeno organogenetico, ma di indagarne al tempo stesso ogni aspetto sociogenetico e psicogenetico, e questo è un compito della scuola, di ogni singolo insegnante impegnato nella sua professione di pedagogista che abbia acquisita una seria professionalità indispensabile per essere riconosciuto nel suo ruolo, e non certamente degli specialisti della sanità incatenati ai loro criteri classificatori nosografici.
L’insegnante specie se Pedagogista Clinico®, sa che ciascun allievo, per motivi maturazionali, familiari e sociali, possiede Abilità, Potenzialità e Disponibilità (PAD) diverse, si presenta con una propria individualità, un personale ritmo di crescita, differenziate intelligenze, carattere e temperamento, modi diversi di essere e di rappresentarsi, e lo accoglie per proseguire, con un conseguente orientamento metodologico didattico, l’azione educativa.
Ciò significa che ogni insegnante se preparato, eviterà di adattarsi ad un intervento basato sulle carenze del soggetto e orientato al solo deficit, poiché egli sa che l’educazione non può essere scambiata con una concezione puramente aritmetica dell’insufficienza, condotta utilizzando il modulo quantitativo caratteristico dell’anarchia pedagogica. Perciò spetta il compito di riconoscere gli ostacoli e di rintracciare i tortuosi itinerari, per agire in modo corretto e produttivo, per fornire le forze, le tendenze, le spinte a favorire reazioni positive, superare o integrare le abilità, gli interessi e le motivazioni. Al tentativo di escludere e differenziare i più deboli, per voler inseguire il profitto scolastico in tempi sempre più immediati, secondo il modello separatista, la scuola, vigile della propria autenticità pedagogica, deve rispondere con una pratica educativa sostanziata da una molteplicità di stimoli di compensazione infinitamente vari ed estremamente originali per lo sviluppo della creatività; percorsi indispensabili per generare tendenze psichiche, desideri, fantasie e sogni.
Alla scuola quindi il compito di riconoscere e saper fronteggiare le difficoltà ad apprendere, offrire esperienze di cooperazione che devono valorizzare la vicenda educativa e scolastica, la crescita reale dell’allievo che è persona, la sua integrazione sociale, evitando perciò ogni etichetta che porta ad un invilente destino dell’individuo anziché muoverlo verso un futuro di speranza.